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Economia
Creval-Carige-Astaldi: la diluizione è servita. Risparmiatori a bocca asciutta

 

Astaldi
 

Senza consorzio di garanzia (del quale farà parte anche, come co-garante, Equita sim), infatti, l’operazione sarebbe saltata, col rischio di un clamoroso “bis” rispetto alle vicende che hanno visto protagonista Mps nei mesi scorsi, ma anche così per centrare la quadratura del cerchio l’istituto ligure ha dovuto accettare di emettere i nuovi titoli (offerti agli azionisti nel rapporto di 60 nuove azioni per ogni azione già posseduta) a solo un centesimo per azione, contro i 14,73 centesimi del prezzo di riferimento (ovvero i 14,2 centesimi del prezzo di chiusura) di mercoledì scorso, prima che il titolo venisse congelato da Consob, con una capitalizzazione già crollata a neppure 124 milioni.

L’operazione sarà dunque “iperdiluitiva”, per cui gli azionisti che non dovessero partecipare vedrebbero di fatto quasi azzerato il valore dei loro investimenti. Se questo sarà o meno un incentivo a partecipare lo si scoprirà tra poco (l’aumento dovrebbe partire il 22 novembre e terminare il 6 dicembre, con inizio del periodo di esercizio dei diritti di opzione dal 27 novembre), così come a breve, forse già lunedì, si capirà se la “ricetta Carige” dovrà essere seguita obtorto collo anche dal Creval o da Astaldi.

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Certo è che di questi tempi non è facile andare a chiedere capitali al mercato in misura significativa non soltanto in valore assoluto (le tre operazioni di cui sopra pesano in tutto 1,76 miliardi, meno dei capitali “bruciati” dal fondo Atlante per cercare, inutilmente, di salvare Bpvi e Veneto Banca) quanto soprattutto in rapporto al valore attribuito dal mercato alle singole società. Il “capitalismo di relazione” italiano sembra dunque destinato a cambiare definitivamente: se così sarà, le azioni non si “peseranno” più in base al nome di chi le detiene, ma si conteranno in base ai capitali investiti da ciascun azionista.

Per il piccolo mondo antico italiano una rivoluzione copernicana da cui potrebbero finalmente derivare benefici in termini di redditività e produttività futura, ma i cui costi rischiano comunque di essere scaricati brutalmente sulle spalle di tanti piccoli risparmiatori che in questi anni si sono incautamente fidati della “banca di fiducia” o hanno continuato a puntare su prodotti e servizi di risparmio gestito centrati esclusivamente sui mercati finanziari domestici.

Luca Spoldi

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