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Economia
Crisi, 25 mila esuberi sul tavolo di Conte. Ma in Italia si parla solo di Mes

Oltre 25 mila esuberi nuovi esuberi (e senza contare le piccole crisi aziendali che sono rimaste fuori dai radar), in poco più di tre mesi. Da quando cioè è entrato in carica il Governo Conte-bis. Con una situazione economica che rispetto alle premesse di inizio anno, come ha certificato la scorsa settimana l'Istat che ha ritoccato al rialzo lo 0,1% di crescita per il 2019 (portandolo allo 0,2%) fissato nella Nota di aggiornamento al Def, non è collassata nella recessione. Anzi, dopo la crescita zero dei trimestri passati, l'andamento dell'economia è , seppur di poco, positivo. 

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Oltre che per aver evitato l'aumento dell'Iva, per il momento il nuovo Governo Conte si caratterizza per un'impennata degli esuberi in solo tre mesi di attività. Solo nelle ultime settimane per l’ex Ilva di Taranto si è iniziato a parlare di 4.700 esuberi di cui 2.900 pressoché immediati (al netto del nuovo piano di Palazzo Chigi), Alitalia ha visto fallire il tentativo di pilotarla verso la cordata Fs-Atlantia-Delta, con la possibilità di un rientro in gioco di Lufthansa solo previa ristrutturazione per la quale si partirebbe da una prima stima di 3.500 esuberi, Conad ha avanzato la richiesta di 5.500 esuberi nell’ambito dell’acquisizione di un centinaio di punti vendita ex Auchan (di questi 2.500, finora congelati, riguarderebbero punti vendita già rilevati, altri 3.000 relativi a sede, logistica, ipermercati e punti vendita che Conad non intende rilevare).

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E poi ancora: Magneti Marelli, sotto la nuova gestione giapponese, ha già chiesto la cassa integrazione per 910 persone, Bosch punta a ridimensionare lo stabilmento di Bari eliminando 620 posti di lavoro, alla Bekaert sta per scadere la cassa e sono 220 i lavoratori a rischio licenziamento, Safilo ha annunciatio ieri 700 esuberi nell’ambito del suo piano di ristrutturazione, Wanbao quasi 300, Tirrenia 1.000 tra il personale marittimo e alla Jabil di Marcianise per 350 operai sui 700 impiegati incombe la disoccupazione. Il salvataggio dell'ex Alcoa di Portovesme è tornato in forse. 

E sullo sfondo restano anche vicende complesse come Pernigotti (150 dipendenti a rischio), Whirlpool (800 esuberi in bilico), piuttosto che Blutec, Almaviva o Mercatone Uno, che fino a pochi mesi fa si pensava di poter risolvere quasi senza esuberi e che invece rischiano di bruciare altre centinaia di posti di lavoro.

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Per non parlare di chi come UniCredit formalmente non si trova in crisi ma per adeguarsi al mutato scenario competitivo ha annunciato nuove chiusure e tagli (450 filiali e 6.000 esuberi solo in Italia su un totale di 500 sportelli e 8 mila dipendenti in meno) o di chi, come Banca popolare di Bari, da mesi non riesce a stilare neppure un piano industriale credibile e vede lievitare il costo stimato per un salvataggio semi-pubblico e il rischio di ulteriori tagli a filiali e dipendenti.

Come dire che in meno di tre mesi nonostante l’economia reggesse meglio del previsto in Italia e in Eurolandia, almeno altri 25 mila posti sono diventati (o tornati) a rischio. Mentre in Parlamento sì'infiamma il dibattito politico montato dalla Lega sulla riforma dell'European Stability Mechanism (Mes), l’emergenza lavoro resta la più importante per l’economia italiana e ci si aspetterebbe di ritrovarla al centro dell’attenzione di governo e opposizione quasi ogni giorno.

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Invece no: ci si accapiglia su temi come la riforma del Mes o l’unione bancaria europea, temi assolutamente degni, ma che forse dovrebbero stare un passo indietro rispetto all’esigenza di risolvere la crisi del mercato del lavoro italiano. A meno che la politica italiana non confidi in un ulteriore miglioramento dello scenario macro (che però dalla parole della presidente della Bce Christine Lagarde non sembra troppo probabile) o che il Governo ritenga che il lavoro si crea per decreto e che il reddito di cittadinanza basti come misura per far ripartire un circuito “virtuoso”.

Peccato che anche in questo caso ci sia più di un numero che non torna: secondo i sindacati, in particolare, la misura, costata già oltre 3 miliardi, avrebbe finora creato non più di 2 mila nuovi posti di lavoro. Dei circa 20 mila beneficiari del reddito che hanno finora ottenuto un posto di lavoro circa 18 mila l’hanno infatti ottenuto con le vecchie procedure, senza dover passare per i “navigator”. Anche se l’economia sta reggendo meglio del previsto, “tirar calci al barattolo” non serve, specie nel caso di settori e società alle prese con crisi strutturali da eccesso di offerta, crollo di domanda o compressione dei margini di profitto.

 

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