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Economia
Da Carige ad Alitalia: è fuggi-fuggi. Investimenti, ci resta solo il pubblico

Solo 17 miliardi nel 2017 e ancora meno, 9,9 miliardi, nel 2018 (in entrambi i casi il minimo rispetto ai 5 anni precedenti): che l’Italia non riesca più ad attirare investimenti non è una novità di questi mesi, ma un trend ormai consolidato da anni che ha come conseguenza un intervento sempre più frequente dello Stato per cercare di evitare fallimenti di aziende e banche più o meno “sistemiche”. 

Carige
 

Mps ha così visto una ricapitalizzazione precauzionale da 5,4 miliardi nel 2017, mentre Alitalia dopo il fallimento del tentativo dei privati “spintaneamente” riuniti in Cai nel 2009 stenta a trovare un partner disposto ad assumere una partecipazione più che marginale e si avvia a vedere una presenza pubblica tra Tesoro e Ferrovie dello Stato certamente superiore al 50% nella Newco che proverà l’ennesimo rilancio.

Ora anche Banca Carige rischia di dover essere a sua volta essere salvata dal Tesoro, dopo che anche l’ultimo privato rimasto in gara, il gruppo americano Blackrock, si è tirato indietro nonostante la disponibilità della banche di farsi carico di una parte consistente (313 milioni derivanti dalla conversione del bond Tier2 sottoscritto in dicembre dallo Schema Volontario del Fitd) della futura ricapitalizzazione senza con questo volersi assumere l’onere della gestione.

Astaldi
 

Se non bastassero questi tre esempi, basterebbe ricordare gli oltre 140 tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo dalla scorsa estate per far comprendere come il “modello Italia” non riesce più a garantire non solo una significativa crescita economica, di fatto assente dai radar da quasi una ventina d’anni, ma neppure un ricambio tra chi vuole passare la mano e nuovi investitori pronti a subentrare.

Colpa, secondo parere pressoché unanime di economisti e gestori, di una produttività del lavoro che dal 2000 al 2016 è cresciuta nel nostro Paese di appena lo 0,6% contro il 15% segnato in Francia e il 18,3% in Germania, oltre che di un debito da anni superiore al 130% del Pil che drena risorse.

CDP
 

Così anche l’intervento pubblico quando avviene magari su spinta dei palazzi della politica assume contorni sempre più “stretti”, come nel caso della crisi di Piaggio Aero, che potrebbe vedere l’intervento di Leonardo ma solo per quanto riguarda le attività di manutenzione nel caso si procedesse ad uno “spezzatino”. O ancora Cdp che, coinvolta nel capitale di Salini-Impregilo nell'operazione di sistema del polo delle costruzioni, impiegherà il risparmio postale degli italiani per contribuire al salvataggio di Astaldi, Condotte e Cmc.

Mentre le banche, un tempo pronte a sottoscrivere a piene mani bond “convertendi” come quello di Fiat, nel tempo si sono dovute fare sempre più attente a non mettere in bilancio ulteriori “mine”, essendo già impegnate in un’opera pluriennale di pulizia dei bilanci dalle scorie di crediti deteriorati accumulatesi negli anni e a volte decenni precedenti. Il modello Italia deve cambiare, quanto tempo e quanti altri fallimenti occorreranno è la domanda tuttora senza risposta.

 

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