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Economia
Dazi alla Cina, il "killer" è Trump. Ecco le aziende Usa che "ucciderà"
Donald Trump e Xi Jinping (foto Lapresse)

Starbucks, ad esempio, ha appena annunciato un accordo con Alibaba per riuscire a consegnare i propri prodotti direttamente a domicilio tramite corrieri su scooter elettrici, per tentare di arginare la concorrenza della startup cinese Luckin Coffee (forte di oltre mille caffè, con l’obiettivo di arrivare a 2 mila aperture entro fine anno), che già consegna i suoi prodotti al modico prezzo di 1 dollaro per ordine con tempi di consegna medi di 18 minuti. Starbucks ha già circa 3.400 locali in 140 città in Cina, ormai il suo secondo maggior mercato dopo gli Usa, e conta di raddoppiarne il numero entro il 2022, continuando ad aprire in media un nuovo caffè in Cina ogni 15 ore.

Ma anche un altro marchio “a stelle e strisce” come Tesla, che ieri sera ha annunciato una trimestrale migliore delle attese promettendo di registare utili e flussi di cassa finalmente positivi nel corso della seconda parte dell’anno, guarda con attenzione alla Cina: sarà infatti a Shanghai che Elon Musk aprirà il suo primo impianto produttivo fuori dagli Stati Uniti, con un investimento da 5 miliardi di dollari. Al momento Tesla ha in cassa 2,2 miliardi di dollari e molti analisti scommettono che anche in caso di flussi di cassa positivi e costanti Musk dovrà lanciare un’emissione obbligazionaria sul mercato cinese per reperire i capitali necessari all’investimento, peraltro destinato a non partire fino al prossimo anno.

Altra grande azienda americana con forti interessi in Asia e in Cina in particolare è Boeing: nel corso dell’ultimo salone aeronautico di Farnborough, il mese scorso, il produttore ha accuratamente evitato di fare i nomi di clienti che hanno siglato contratti per miliardi di dollari, fatto piuttosto inconsueto. Secondo molti esperti del settore la decisione di mantenere un “basso profilo” è legata alla volontà di non irritare la Casa Bianca, visto che ordini per almeno 11 miliardi di dollari siglati nelle scorse settimane si riferirebbero proprio a compagnie cinesi o comunque asiatiche.

Lo scorso anno, in novembre, sempre Boeing aveva annunciato un maxi ordine per 300 aerei del valore di 37 miliardi di dollari a prezzi di listino con China Aviation Supplies Holding Company, mentre in primavera aveva segnalato di aver quasi completato la realizzazione di un impianto per l’allestimento degli interni dei suoi aerei in Cina, mossa più che logica visto che negli ultimi tre anni un veivolo Boeing ogni quattro prodotti (ed in particolare un B787 Dreamliner ogni tre prodotti) è stato venduto in Cina.

L’elenco dei “big” che rischiano molto da una guerra commerciale Usa-Cina e dunque si augurano che Trump possa trovare un accordo senza sacrificare tutto per un’esigenza elettorale potrebbe continuare a lungo: solo per citare i più importanti, 62 dei titoli presenti nell’indice S&P500 riportano ogni anno in modo dettagliato le loro vendite in Cina, visto la rilevenza delle stesse.

A fine 2017, ad esempio, la Cina contava per il 65,4% delle vendite di Qualcomm (per un totale di circa 22,3 miliardi di dollari), per il 53,7% di quelle di Broadcom (17,6 miliardi), per il 51,1% di Micron Technology (20,3 miliardi). I due “big” che maggiormente temono ripercussioni sono tuttavia Apple (le vendite in Cina rappresentavano “solo” il 19,6% del totale, ma erano pur sempre pari a oltre 228,5 miliardi a fine 2017) e Intel (che in Cina ha fatturato oltre 62,7 miliardi di dollari lo scorso anno, pari al 23,6% del totale), oltre appunto a Boeing, che lo scorso anno ha segnalato vendite per 93,4 miliardi di dollari circa nel paese asiatico (il 12,8% del fatturato annuo complessivo), a Procter & Gamble (solo l’8% di vendite in Cina, ma valgono oltre 65 miliardi) o a Nike (12,4% delle vendite pari a oltre 34,2 miliardi).

In tutto, i 62 “campioni americani” hanno fatturato nel 2017 oltre 158 miliardi di dollari, una cifra superiore al Pil dei paesi come l’Ungheria, il Kuwait, l’Angola, l’Ucraina, il Marocco o l’Ecuador. L’effetto Trump, dopo essere stato una benedizione, rischia per tutti costoro di rivelarsi un frutto avvelenato se il vulcanico presidente Usa non riuscirà a trovare un accettabile compromesso, come ha già fatto con l’Unione europea.

Luca Spoldi

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