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Economia
Dazi Usa, ora tocca all'automotive. Trump colpisce l'Europa al cuore

Che la situazione sulle quattroruote europee possa esplodere lo ha già capito il mercato che infatti negli ultimi 12 mesi ha già penalizzato i titoli più a rischio come Volkswagen (-11%), Daimler (-20%) e Bmw (-22,5%). Siccome però l’industria dell’auto è la più importante industria manifatturiera tedesca e dà lavoro anche a una nutrita serie di aziende metalmeccaniche italiane, in Borsa hanno sofferto anche titoli come Brembo (-15,7% nell’ultimo anno), Pirelli (-19,4%) e la stessa Fca (-33,2%), a cui faceva capo Magneti Marelli (ceduta in questi mesi alla giapponese Calsonic Kansei). Nonostante tutto, la speranza (non ancora del tutto tramontata) riguardo ad un possibile accordo in “zona cesarini” tra Usa e Cina, ma anche tra Usa e Ue (a sua volta dettasi pronta a ritorsioni se gli Stati Uniti introdurranno effettivamente i dazi) ha evitato guai peggiori, consentendo qualche recupero che un’eventuale definitiva rottura rischia di far svanire.

trump ape
 

Da inizio anno Daimler ha recuperato il 17% e Volkswagen il 9,5% (ma Bmw segna un calo del 2%), con Brembo a +15,5%, mentre Fca e Pirelli oscillano attorno ai livelli di inizio gennaio. Nel caso italiano, poi, l’eventuale ulteriore frenata della Germania che già potrebbe subire gli effetti (tramite minor domanda estera) di un rallentamento dell'economia cinese e, di riflesso, dell’Italia rischierebbe di far svanire definitivamente la speranza di una pur flebile ripresina, con un Pil che a fine anno anziché recuperare uno 0,1% o uno 0,2% rispetto al 2018 potrebbe perdere altrettanto.

Anche per questo lo spread Btp-Bund, già risalito in area 2,75%-2,77%, potrebbe allargarsi ulteriormente facendo chiudere anzitempo quella “finestra” di due-tre mesi che anche l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, vede al momento come sfruttabile per imbastire una strategia che consolidi la fiducia verso il nostro paese e rimetta definitivamente in carreggiata l’Italia. E questo è un rischio che nessun investitore è pronto a sostenere e non “quattro fondi speculativi, ma grandi nomi della finanza che ci hanno prestato soldi e vogliono essere legittimamente sicuri che l’Italia possa restituirli”. 

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