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Economia
Def, dopo il reddito di cittadinanza ora serve generare il Pil buono

Fare Pil buono. Recentemente ho sentito la brava Mirta Merlino parlare del reddito di cittadinanza. La critica che muoveva a Di Maio era che un cassiere della grande distribuzione guadagna poco più del reddito di cittadinanza e quindi sarebbe evidentemente incentivato a NON lavorare. Stesso concetto è stato ripetuto da Giorgia Meloni a Porta a Porta. Che finanziare il Rdc a debito sia una pessima idea (il costo degli interessi sul maggior debito rischiano di superare il beneficio)  e che i centri per l’impiego non riusciranno in queste condizioni a dare tre opportunità di lavoro ad ogni disoccupato è abbastanza chiaro.

Viceversa, tolte le due condizioni di cui sopra, se introducessimo il Rdc, le aziende sarebbero incentivate ad alzare gli stipendi (ora veramente da fame) per attrarre candidature e questo non sarebbe un male. Le persone avrebbero stipendi più alti, più soldi per consumare e presumibilmente le aziende potrebbero alzare i prezzi.

Questo genererebbe più Pil e una giusta redistribuzione della ricchezza. Allo stesso modo un Rdc sarebbe una misura interessante per liberare la PA da una serie di lavori non produttivi indirizzando questi lavoratori verso una riqualificazione professionale.

Il problema però resta sempre come creare lavoro (in particolare lavoro qualificato), come favorire l’inclusione di persone in difficoltà e dove prendere i soldi per diminuire le tasse sul lavoro e per le numerose necessità del nostro Stato ( ambiente, infrastrutture, ricerca, istruzione, etc. etc.).

Una parte dovrebbe arrivare da un lavoro serio per aumentare la produttività da noi sempre anemica. Formazione, abbattimento delle inefficienze burocratiche, liberalizzazioni, meritocrazia, innovazione.

Una parte dovrebbe arrivare da una rimodulazione della tassazione che avvantaggi chi investe e lavora rispetto alle rendite (vedi imposta di successione e tasse sugli immobili).

Un’altra parte dovrebbe arrivare da una serie di misure volte a favorire il passaggio dell’ingente mole di risparmio degli italiani verso imprese ad impatto sociale che operano nel nostro territorio.

Queste risorse andrebbero direzionate prioritariamente su nuove imprese, sui giovani e sulle nuove famiglie.

Non so se gli economisti approverebbero il termine, ma definirei queste linee guida come generatrici di Pil “buono”. Un Pil che crea ricchezza e valore in modo sostenibile.

Quel Pil che invece dipenda da debito, spesa improduttiva, speculazioni e rendite alla fine dei conti è meglio perderlo che trovarlo.

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