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Economia
Deutsche Bank, il piano B che non c'è. UniCredit-Commerz? Più no che sì

Futuro stand-alone, ricapitalizzazione o spezzatino. Deutsche Bank scivola del 3% alla Borsa di Francoforte con il mercato che sposta le lancette al 2018 quando le nubi sul futuro della prima banca tedesca erano lontane dal diradarsi sopra il quartier generale del gruppo guidato da Christian Sewing.

Scontanti i conti trimestrali (già parzialmente anticipati ieri nella nota che annunciava lo stop ai negoziati con Commerzbank) che sono stati complessivamente nelle attese, gli investitori si aspettano altri tipi di segnali sul futuro del gruppo. 

UNICREDIT UNICA SIFI ITALIANA/ La sigla Sifi è acronimo di Systemically important financial institutions e indica le banche di "interesse sistemico", quelle che, dal crack Lehman Brothers in poi sono considerate "too big to fail", troppo grandi per fallire. Si tratta di banche o istituzioni finanziarie che, date le dimensioni extra-large, fallendo provocherebbero un effetto a catena devastante per l'intero sistema economico e finanziario globale o di un Paese. Proprio per questa rilevanza sistemica, il Comitato di Basilea ha previsto che dovranno possedere un capitale addizionale - tra l'1 e il 2,5% - oltre a quello rischiesto per tutti gli istituti di credito da Basilea 3. Per evitare il fallimento queste istituzioni finanziarie dovranno avere più forza patrimoniale.

Dopo un risultato ante imposte di 292 milioni di euro, i profitti hanno raggiunto quota 201 milioni di euro, non trainati per gli analisti di Credit Suisse dai risultati sotto le attese della divisione Corporate&Investment Banking (sotto il profilo dei costi) e del Private&Commercial Bank (dal punto di vista dei ricavi), numeri che riportano il focus degli investitori sulla necessità di indicazioni sulle prospettive di business. Indicazioni che non ci sono, riportando quindi gli investitori davanti al caso di investimento già noto con il focus da porre sull'andamento dei mercati del debito/credito e dei Cds di Deutsche Bank. 

Così in Borsa (dove già ieri si festeggiava per lo stop dei board alle nozze) la delusione degli investitori relativa al fatto che il gruppo non ha alzato il velo su un piano "B" alternativo o di una nuova strategia dopo lo stop con Commerz la fa da padrona. Discorso diverso per la più piccola Commerzbank che invece balza del 2,7% sul Dax con l'apertura di nuove ipotesi di M&A, tra cui i rumors indicano anche Unicredit, istituto già presente in Germania con Hvb ("no comment" dal gruppo contattato da Affaritaliani.it sull'ipotesi di deal), la sesta banca nel mercato del credito teutonico e che già in passato ha tentato più volte approcci con il gruppo nel cui capitale figura anche il Ministero delle Finanze tedesco (al 15,7%). L'ultimo nel 2017.

Gli osservatori si interrogano sulle chance della più internazionale delle banche italiane (oggi sotto la parità a Piazza Affari), l’unica Sifi (Systemically important financial institutions, vedi box) del nostro Paese, di portare a buon fine il merger che vista la differente stazza si configurerebbe come un’acquisizione da parte del gruppo guidato da Jean Pierre Mustier. Secondo gli analisti, digerire la banca tedesca non sarebbe facile: la redditività di Commerz è al 3,4%, la metà di UniCredit, i costi arrivano all’80% dei ricavi (in Unicredit al 54%) e il mercato del lavoro rigido renderebbe più difficili le famose “sinergie”, stimate da Equita in 1,2 miliardi.

In pratica, è vero che non ci sarebbero i 30 mila esuberi che si sarebbero generati dalla fusione fra Deutsche Bank e Commerzbank, ma ci spunterebbero comunque delle eccedenze, difficili da mandar giù per i sindacati che hanno avuto un ruolo determinante nel far naufragare il deal tutto in salsa teutonica. Sindacati che anche lo Stato tedesco non può ignorare e che spingeranno Berlino a continuare a non essere in futuro puro spettatore del riassetto bancario in Germania. Anche perché, secondo i detrattori dell’M&A italo-tedesco, il governo tedesco dovrebbe fronteggiare le critiche per un’operazione che comporterebbe l’assunzione di rischi per Commerzbank sui 117,5 miliardi di titoli di Stato in bilancio a UniCredit a fine 2018.

unicredit
 

In più, sempre secondo gli analisti, ci sono altri aspetti operativi da non trascurare. In primis, patrimoniali: la Vigilanza europea potrebbe richiedere aumenti di capitale per puntellare il nascituro colosso da eventuali crisi future, ricapitalizzazioni che per Unicredit-Commerz, secondo alcune stime, potrebbero aggirarsi nell’ordine di 4-5 miliardi di euro.

Poi, reddituali: nonostante la diversa vocazione dei due gruppi in Germania (più corporate per Hvb-UniCredit, più retail per Commerz) che dal punto di vista industriale è un aspetto favorevole, lo scenario di tassi bassi che la Bce ha appena prolungato gioca contro l’obiettivo di maggiori ricavi.

Infine, tecnici: il mancato completamento dell’Unione bancaria complica la libera circolazione dei capitali da una banca nazionale all’altra all’interno dello stesso gruppo, come ben sa proprio Unicredit, che nei momenti più difficili della crisi in Italia non potè accedere alla liquidità di Hvb, bloccata dalla Bundesbank. Insomma, mentre Mustier prepara il nuovo piano industriale e conferma la linea della crescita organica, le criticità paiono essere più forti dei vantaggi, fattore che spingerebbe Berlino a caldeggiare il deal con una promessa sposa non ancora presente in territorio tedesco. 

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