Deutsche Bank, terzo rosso in bilancio. Sui conti pesano trading e tassi
Risultati deludenti del trading, l’impatto negativo dei tassi sul reddito fisso e gli oneri “una tantum” della riforma fiscale Usa. Titolo Deutsche Bank ko
Ancora un anno in rosso, il terzo consecutivo, per Deutsche Bank, i cui ricavi hanno segnato nel 2017 il minimo degli ultimi sette anni: per essere “saldamente” sulla strada per tornare a crescere e a registrare ritorni più elevati, grazie a “disciplina sui costi e sui rischi sostenibile”, come sostiene l’amministratore delegato John Cryan, il colosso del credito tedesco appare piuttosto incerto sulle gambe agli occhi degli investitori, che così tornano a scaricare il titolo, oggi in calo di oltre il 6% e nuovamente sotto i 14 euro per azione a Francoforte, su livelli che non si vedevano da almeno tre mesi.
Deutsche Bank ha infatti annunciato di aver chiuso il 2017 con una perdita di 497 milioni di euro, a causa in particolare del contesto “sfidante” dei mercati, del calo dei ricavi legati alle attività di investment banking e della riforma fiscale Usa, che porterà benefici a medio termine ma intanto ha comportato un onere “una tantum” di 1,5 miliardi di dollari.
Il dato della maggiore banca tedesca si è rivelato peggiore delle attese degli analisti, che in media si attendevano una perdita netta di 290 milioni di euro. Nel solo quarto trimestre i ricavi sono calati del 19% a 5,7 miliardi di euro, mentre la perdita netta è salita a 2,19 miliardi rispetto agli 1,89 miliardi dello stesso periodo del 2016. Lo stesso Cryan, pur sottolineando come siano stati “fatti progressi” ha così dovuto ammettere: “Non siamo ancora soddisfatti dei nostri risultati”.
Difficile dargli torto, visto che tutti e quattro i trimestri del 2017 si sono chiusi in rosso e che anzi, da quando il banchiere inglese è stato nominato a capo di Deutsche Bank, nel giugno 2015, si sono chiusi con un utile netto solo due trimestri (il terzo e il quarto del 2016). Un po’ poco per gli investitori che da quando Cryan è al comando hanno visto il titolo passare da 25 agli attuali 14 euro, con una perdita del 45% circa.
Il problema è che mentre Cryan si è mostrato rapido nel chiudere le dispute legali che da anni si trascinavano senza costrutto (ancora a inizio anno il gruppo ha preferito pagare una multa di 70 milioni di dollari così da chiudere una disputa con le autorità Usa in merito alle accuse di aver tentato di manipolare alcuni tassi di riferimento per strumenti derivati) ed ha poi tagliato di 15 mila unità il personale, dovendo ricorrere ad un aumento di capitale da 8 miliardi di euro lo scorso anno per rispettare i requisiti patrimoniali chiesti dalla Bce, la sua ricetta non si è rivelata in grado di far ripartire volumi e margini reddituali.
Colpa delle attività di trading, che hanno continuato a perdere colpi (nell’ultimo trimestre i ricavi sono calati del 22% rispetto all’analogo periodo del 2016), ma colpa anche dei tassi d’interesse sempre vicini ai minimi storici nell’area dell’euro che abbattono la redditività delle attività di banca commerciale.
(Segue...)