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Economia
Deutsche Bank, tutta la verità. Trucchi contabili alla tedesca


Virtuosismi alla tedesca: Deutsche Bank, istituto che da anni soffre di una vera e propria crisi "esistenziale" sempre in bilico tra banca commerciale e banca d'investimenti, non riesce a decidere che fare da grande. Da un lato le lucrose attività di investment banking hanno registrato negli ultimi anni un costante calo dei ricavi (e delle quote di mercato del gruppo tedesco), dall'altro la redditività delle operazioni di banca commerciale vedono una redditività in calo e un rapporto tra costi e ricavi tra i più elevati al mondo.

A Deutsche Bank le misure straordinarie della Bce, fatte di tassi sotto zero e massicci acquisti di bond sul mercato, non fanno affatto bene, tanto che il livello dei Cds a 5 anni dell'istituto tedesco ha toccato un record storico a fine settembre (al 5,5%), mentre in parallelo le quotazioni dei suoi CoCo bond (Contingent Convertibles bond, il tipo di obbligazioni più vicino al capitale, in cui possono essere convertite in caso di necessità) sono scivolate sui minimi storici.

Pesa su Deutsche Bank la richiesta di 14 miliardi di dollari tra multe e penali (che però dovrebbero ridursi in sede di accordo definitivo, secondo alcuni a poco più di 5,5 miliardi) avanzata dal Dipartimento di Giustizia Usa per la vendita non corretta di titoli legati a mutui subprime negli Usa prima dell'esplosione della crisi del 2008, ma pesa anche una vicenda di contabilizzazione "allegra" di alcuni prestiti fuori bilancio.

In tutto secondo un'indagine commissionata da Bafin (l'autorità tedesca di vigilanza dei mercati finanziari) citata da Bloomberg, Deutsche Bank avrebbe messo in piedi 103 di queste operazioni legate a 30 clienti in tutto il mondo, per un valore complessivo di 10,5 miliardi di euro tra il 2008 e il 2010. Solo nel 2013 la banca avrebbe poi regolarizzato contabilmente 37 di queste operazioni trasformando i prestiti fuori bilancio in derivati iscritti in bilancio tra gli asset di "livello 3", quelli la cui valutazione è soggetta alla massima discrezionalità.

Il problema è che in Deutsche Bank questi derivati (che a fine giugno erano scesi attorno a 28,9 miliardi di euro, rispetto agli 88 miliardi registrati a fine 2007) secondo i calcoli di Jp Morgan valgono il 72% degli asset Tier 1 che l'istituto possiede, mentre in media nelle 12 banche globali mondiali valutano circa la metà, ossia il 38% degli asset Tier 1. Tra questi derivati vi era anche il (famigerato) prestito/derivato Santorini, acceso con Mps e rivelatosi una scommessa molto sfortunata e costosa per l'istituto senese.

Insomma: il sospetto è che la "ufficialmente" virtuosa Deutsche Bank da troppi anni abbia in realtà seguito una condotta spericolata, nascosta dietro prodotti resi volutamente molto complessi perché non apparisse chiaro che rischi correva il gruppo tedesco prestando capitali o effettuando investimenti con controparti non proprio solidissime, come la stessa Mps.

A spingere ulteriormente in questa direzione, che ha garantito una redditività elevata alle attività di investment banking così da compensare la modesta redditività delle attività di banca commerciale, sarebbe stato l'ex responsabile delle attività di corporate finance e di intermediazione di Deutsche Bank, Anshu Jain, divenuto nel 2012 co-Ceo del gruppo e poi dimessosi nel giugno dello scorso anno (rimanendo però consulente del gruppo sino agli inizi di quest'anno).

Se le 103 "disinvolte" operazioni fossero state fin dall'inizio iscritte a bilancio, il rapporto tra asset di terzo livello e asset Tier 1 sarebbe esploso, richiamando certamente l'attenzione degli ispettori Bce e probabilmente forzando l'ennesima ricapitalizzazione dopo che già nel 2008 era stato lanciato un aumento di capitale da 2 miliardi per finanziare l'acquisizione di PostBank, poi nel 2013 la banca ha raccolto altri 3 miliardi di euro affermando di non avere bisogno di ulteriori fondi.

Ma l'anno successivo la banca ha dovuto raccogliere prima altri 1,5 miliardi di euro, poi ancora altri 8 miliardi: il conto pagato dagli investitori in soli sei anni è stato di 14,5 miliardi di euro, quasi 2 miliardi e mezzo l'anno, cifra che sarebbe potuta lievitare ulteriormente se i 10,5 miliardi di crediti "a rischio" fuori bilancio fossero subito stati iscritti subito a bilancio.

Di quanto è difficile dire, visto che gli asset di "livello 3" non scambiati sui mercati e non sono equiparabili ad alcun altro strumenti. Ma con una elevata leva finanziaria (rapporto tra patrimonio della banca e valore degli attivi), una bassa redditività del business e la spada di Damocle di maxi-multe in arrivo dagli Usa, non è detto che sarebbe stato facile convincere il mercato a fidarsi ancora una volta. Ora, invece, la banca potrebbe cavarsela emettendo nuove azioni  per un massimo di 5 miliardi (limite al di sopra del quale il Cda dovrebbe chiedere l'approvazione degli azionisti), magari dopo aver convertito alcuni dei suoi CoCo bond e/o proceduto alla cessione di qualche asset.
 

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