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Economia
Dollaro,Trump stratega spietato:scacco ai partner commerciali e crescita super

Senza affondare lui, e senza affondare l’avversario, e sarà così, come è stato nei precedenti aspri dibattiti, anche con la Turchia. Così anche questa volta Donald Trump è riuscito dove nessuno prima di lui. Con una mossa apparentemente inspiegabile – i dazi appioppati alla Turchia – è riuscito a sparigliare ulteriormente il già ben incasinato scenario medio-orientale. Ma procediamo, ammesso che sia possibile, con ordine. Innanzitutto ricordando come la posizione di Trump sugli squilibri commerciali sia tutt’altro che infondata; negare questa evidenza commerciale ed economica significa condannarsi a non comprendere le ragioni delle sue mosse. Tuttavia come una sorta di Dottor Jekyll e Mister Hyde, il terrificante personaggio inventato da Robert Louis Stevenson, il presidente degli Stati Uniti d’America alterna comportamenti ragionevoli a insensatezze, scelte razionali a episodi di bizzarria emotiva.

Come quest’ultimo gesto di clamorosa ostilità perpetuato nei confronti di un altro leader populista, quel Recep Tayyip Erdoğan che si è fatto sultano del proprio infelice Paese. I dazi agitati come un nodoso bastone possono infatti mettere in ginocchio la periclitante economia turca e con essa anche gli interessi di molte imprese italiane. Purtroppo, e qui scatta l’effetto “Mister Hyde”, la Turchia, oltre ad essere l’air bag che dietro pagamento assorbe circa tre milioni di profughi altrimenti destinati ad invadere l’Europa, è il più potente partner militare della Nato, ovvero l’esercito più consistente dell’Alleanza nata in funzione antisovietica. Che farà ora il sultano turco, l’uomo che giorno dopo giorno oltre alla libertà di stampa sta smantellando la rivoluzione laica di Atatürk? Oltre a rincuorare i suoi concittadini affermando che Allah è schierato a difesa della lira turca, pare fermamente intenzionato a chiedere il sostegno dell’amico Putin, realizzando quindi un voltafaccia strategico che farebbe gelare il sangue nelle vene a più di un generale della Nato.

Ma la cosa più divertente, si fa per dire, credo sia la seguente: sia Erdogan che Putin e gli ayatollah iraniani condividono con Trump l’imprinting populista e una comune concezione ultra-nazionalista. Ciò che più li differenzia, libertà democratiche a parte, è la capacità di pilotare l’economia e di creare ricchezza e sviluppo. Un dato su tutti: come si può pensare di ricevere credito dai mercati se al ministero delle Finanze il sultano Erdogan nomina il proprio obbedientissimo (e non esattamente titolatissimo) genero?

E’ vero, anche il Jekill-Hyde della Casa Bianca in quanto a familismo amorale non scherza, ma i numeri di Big America stanno lì a dimostrarlo: sotto le stelle e le strisce il Pil galoppa come neanche un mustang delle praterie. Un Pil che nell’ultima rilevazione ha stupito con un rotondo +4% annualizzato. Qual è stata la ricetta di Trump? Niente di più semplice, ha seguito fedelmente le regole base della macroeconomia: più consumi, più investimenti, più spesa pubblica e meno tasse, una formula facilissima, ancor più facile da mettere in pratica se sei il padrone del dollaro, tutt’ora la moneta di riferimento mondiale.

I dazi all’importazione hanno fatto il resto, facendo diventare i prodotti locali più convenienti rispetto a quelli esteri, aumentando la produzione industriale interna, la quale a sua volta porta maggiore occupazione e a cascata maggiori consumi. Ma il dollaro forte, come abbiamo scritto sopra, non solo diventa un’arma di ricatto, ma anche un punto di forza per la regia di Trump in tema di tassi d’interesse, perché il rafforzamento di una valuta non solo diminuisce i pericoli d’inflazione, ma al contempo è paragonabile ad una stretta monetaria. In parole più semplici, un dollaro in rafforzamento metterà la Fed più in una posizione di attesa rispetto alla volontà di alzare i tassi forse troppo precipitosamente. Un tema, quello dei tassi, sui cui Trump, invadendo un campo non suo, si era già espresso criticando apertamente l’operato della banca centrale americana.

Dollaro forte, e tassi nuovamente che rallentano la corsa, con un’economia che invece marcia speditamente, una manna per chi investe in azioni e per le società americane che oltre a beneficiare della rivoluzione fiscale di Trump, sono gonfie di liquidità e si apprestano a riversarla in borsa con nuovi programmi di buy-back. Operazioni che su eventuali prossimi ribassi, riverbero di una crisi estiva, porteranno a concludere affari a prezzi convenienti. Bisogna ammettere che Trump sta mettendo in pratica tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale, e per il momento i risultati, anche nei venerdì più neri, continuano a premiarlo.

@paninoelistino

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