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Economia
Draghi dopo la Lagarde all'Fmi? Ma in corsa ci sono anche 2 'falchi'

Chi succederà a Christine Lagarde quale direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo l’investitura dell’ex ministro francese a nuovo presidente della Bce una volta completato il mandato di Mario Draghi, a fine ottobre? A deciderlo sarà formalmente il Consiglio di amministrazione dello stesso Fmi, composto da 24 membri permanenti, eletti da singoli paesi membri o da gruppi di paesi. Tuttavia, dal 2011, i governatori del Fmi, ossia i rappresentanti dei diversi paesi membri (di solito i loro ministri delle Finanze o governatori delle banche centrali) possono sottoporre al Consiglio i nomi dei potenziali candidati.

Una volta che il Consiglio esecutivo abbia stilato un elenco ristretto di tre candidati, i 24 membri permanenti prenderanno in considerazione i pro e i contro di ogni candidato fino a trovare un nome (che per tacito accordo deve essere un europeo, così come alla Banca Mondiale viene sempre candidato un americano, come fatto di recente da Donald Trump con David Malpass senza trovare opposizione alcuna) su cui converga la maggioranza dei voti. Di nomi già ne circolano, in verità, a partire da quello più ovvio di tutti, Mario Draghi.

Si tratterebbe in questo caso di uno scambio di poltrone che lascerebbe quasi tutto perfettamente com’è adesso per quanto riguarda sia la politica monetaria europea (la Lagarde ha più volte appoggiato le decisioni di Draghi e tutto lascia pensare che ne proseguirà l’opera) sia per gli interventi del Fmi nelle aree di crisi economica in tutto il mondo. Ma Draghi, che pure gode dell’apprezzamento di Trump (gli Usa pesano per il 16,73% in termini di voti nel Consiglio) e potrebbe ricevere l’appoggio dell’Italia (3,06% dei voti, che però salgono al 4,13% rappresentando anche Grecia, Albania, Malta, Portogallo e San Marino), potrebbe secondo alcuni essere tentato dal seguire l’esempio di Ciampi e rientrare in Itala prima alla guida un governo tecnico, per poi magari succedere a Sergio Mattarella come presidente della Repubblica.

Se Draghi si chiamasse fuori, l’attuale governatore della Bank of England, Mark Carney, il cui mandato scadrà a inizio 2020, potrebbe essere un nome in grado quanto meno di entrare nella terzina di “finalisti”. Carney, che ha cittadinanza canadese, irlandese e britannica potrebbe ricevere un “endorsment” sia dagli usa sia dalla Gran Bretagna (che ha un altro 4,09% di voti in Cda), ma potrebbe doversi guardare dal “fuoco amico” rappresentato dall’auto-candidatura già avanzata informalmente dall’ex Cancelliere dello scacchiere (ossia ministro delle Finanze) George Osborne.

Amico personale di Christine Lagarde, Osborne è colui che nominò Carney ai vertici della Bank of England nel 2012, quando il banchiere stava terminando il suo mandato di numero uno della banca centrale del Canada. Difficile pensare dunque che Carney possa cercare di ostacolarlo se il governo inglese dovesse convincersi ad appoggiarlo. Ma i due nomi britannici, che segnerebbero il rientro in gioco del Regno Unito in un momento delicato come l’attuale in cui ancora non c’è intesa sulla Brexit, potrebbero non piacere alla Francia (4,09% di voti), che dovrebbe già rinunciare al seggio di Benoit Coeuré nel board della Bce a fine anno per far nuovamente spazio a un membro italiano dopo il commiato di Draghi.

Così Coeuré potrebbe essere indirizzato proprio al Fmi e Macron potrebbe dirsi soddisfatto, piazzando per la terza volta un francese ai vertici del Fondo. Nonostante l’alleanza più volte ribadita con la Germania, non è però detto che questo possa piacere ad Angela Merkel o ai suoi alleati in Europa. Un Fmi a trazione francese potrebbe infatti omologare la propria linea di intervento a quello della Bce ed entrambe risultare fin troppo “rilassate” per i gusti dei “falchi” del Nord Europa. Che infatti hanno già iniziato a far circolare un paio di nomi: l’ex ministro tedesco Wolfgang Schauble, da molti considerato il vero artefice dell’austerità fiscale che per anni ha guidato l’operato della Ue, e l’ex ministro delle Finanze olandese ed ex presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.

Sia Schauble sia Dijsselbloem godrebbero facilmente dei voti di Germania (5,32%) e Olanda (2,08%) ma difficilmente di quelli italiani viste le polemiche che negli anni sia Schauble si Dijsselbloem hanno scatenato proprio contro l’Italia e la sua tendenza a non rispettare pianamente i parametri fissati dai trattati europei. E probabilmente neppure quelli di Trump, che non ama eccessivamente né la Francia né la Germania (e pare guardare con sospetto anche Carney). La Merkel potrebbe così provare a proporre un candidato meno “di rottura” come l’attuale ministro delle Finanze del governo Tsipras, Euklid Tsakalotos, che è olandese di nascita e sta portando avanti il programma di austerità e riforme chiesto dalla Ue e dal Fmi in cambio dell’erogazione degli aiuti alla Grecia dopo essere subentrato al meno “gradito” (dai paesi creditori, almeno) Yanis Varoufakis.

La sensazione è che alla fine molto conteranno anche se non soprattutto i voti provenienti dall’Asia e se il Giappone (6,23% dei voti) tradizionalmente vota in modo concorde agli Usa, la Cina (6,16%) potrebbe decidere di appoggiare o osteggiare il candidato che fosse gradito a Trump in base all’andamento dei negoziati commerciali. Nel primo caso dall’urna potrebbe emergere proprio il nome di Mario Draghi, nella seconda c’è il rischio concreto che a guidare il Fondo arrivi un “falco” come Schauble o Dijsselbloem: l’Italia è avvisata.

 

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