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Economia
Editoria, Gedi perde la partita in Borsa. Ora la sfida del web a pagamento

Col conferimento delle partecipazioni di Itedi detenute da Fiat Chrysler Automobiles (77%) e Ital Press Holding (23%) si è ufficialmente conclusa l'integrazione della stessa Itedi in Gedi (Gruppo Editoriale, già Gruppo Editoriale L'Espresso). Per effetto di queste operazioni Cir, holding della famiglia De Benedetti, è arrivata a detenere il 43,4% di Gedi, mentre le due società del gruppo Agnelli possiedono rispettivamente il 14,63% e il 4,37% del nuovo polo editoriale italiano. Azioni (circa 74 milioni in tutto) che ora Fca e Ital Press distribuiranno ai propri azionisti, in particolare ad Exor (che indirettamente possiede il 4,3% di Gedi), che ha già manifestato l'intenzione di incrementare la propria quota, magari approfittando della probabile vendita sul mercato di una parte consistente del rimanente 10,4% di azioni distribuite agli altri soci di Fca.

Un passaggio che rischia di causare qualche tensione alle quotazioni del titolo per un eccesso di carta ("overhang") che potrebbe riversarsi sul mercato nelle prossime settimane. Un rischio che per il momento non sembra preoccupare troppo i trader: il titolo Gedi cede stamane poco più di mezzo punto scivolando sugli 86 centesimi di euro per azione, ma con volumi minimi ed a fronte di una seduta apertasi con un modesto segno negativo. Nell'ultimo anno il titolo ha comunque messo a segno un rialzo piuttosto confortante, superiore al 23,5% (+11,7% dall'annuncio al mercato della fusione editoriale a inizio agosto), avendo inoltre recuperato poco più di un punto nell'ultima settimana, recuperando così parte della sottoperformance rispetto ai diretti concorrenti del settore. 

Il nuovo gruppo, alla cui presidenza è stato eletto l'ex amministratore delegato di Telecom Italia ed attuale co-responsabile dell'European Buyout Group di The Carlyle Group, Marco De Benedetti (secondogenito di Carlo De Benedetti, "l'Ingegnere", dimessosi dalla carica per favorire il ricambio generazionale come già fatto anni fa in Cir), può contare su ricavi complessivi per 700 milioni circa, una redditività tra le più elevate del settore (il Roe di Gedi era pari al 3,35% a fine marzo), nessun debito, una diffusione media aggregata di circa 740 mila copie al giorno di La Repubblica, La Stampa, il Secolo XIX e i giornali locali tra carta e digitale, il tutto a fronte di oltre 5,8 milioni di lettori.

Numeri che per la borsa di Milano valgono una capitalizzazione di 356 milioni di euro, non così distanti dall'eterna rivale Mondadori (428 milioni circa) che però nell'ultimo anno ha visto le quotazioni salire di quasi l'80%, e che per ora restano superiori a quelle di Italiaonline (circa 316 milioni), a sua volta cresciuta di quasi il 75% negli ultimi 12 mesi.

In un altro "girone" restano per ora Rcs Mediagroup (662 milioni circa di capitalizzazione, +58,5% in borsa nell'ultimo anno) e Cairo Communication (531 milioni, reduce però da un anno "no" che ha visto il titolo cedere l'1,15% complice il -11,5% accumulato negli ultimi tre mesi), ossia i due veri colossi dell'editoria italiana, ormai entrambi sotto le insegne di Urbano Cairo, il "rottamatore" che nel luglio dello scorso anno, mentre Agnelli e De Benedetti si accordavano per unire le forze e cercare di arrestare il declino, diventava padrone di Via Solferino nonostante la strenua resistenza degli azionisti "storici" e di Mediobanca.

Numeri importanti e promettenti  quelli della nuova Gedi, che tuttavia non sembrano convincere proprio lui, "l'Ingegnere", che recentemente ad un incontro col gotha dell'editoria mondiale è stato chiaro: la festa è proprio finita, i colossi del web come Google prima e Facebook poi hanno "saccheggiato" per anni i fin troppo costosi contenuti degli editori "tradizionali" drenando pubblicità. 

(Segue...)

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