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Economia
Eni, profitti sotto le stime a 992 mln. Titolo giù.Descalzi prepara il buyback

Risultati sostanzialmente in linea con le attese per il gruppo Eni nei primi tre mesi del 2019, anche se qualche piccola delusione tra le singole voci contabili favorisce lo scattare di prese di profitto sul titolo dopo il rialzo della vigilia. La società petrolifera italiana ha infatti segnato un utile operativo di 2,354 miliardi di euro, in calo dell’1,1% rispetto ai 2,380 miliardi dello stesso trimestre dello scorso anno e contro attese di consenso per una crescita del 6% a 2,53 miliardi. Immediata la reazione del titolo che in borsa a Milano scivola nuovamente sotto i 16 euro per azione, in calo di poco più di un punto percentuale.

Claudio Descalzi ape 2

 

In particolare, la divisione Exploration&Production ha visto l’utile operativo salire del 10,7% a 2,308 miliardi ma questo non è bastato a centrare le attese del mercato (2,350 miliardi il consensus), mentre la divisione Gas&Power ha registrato un risultato in crescita del 15,5% a 372 milioni, in questo caso decisamente meglio del consensus (fermo a 270 milioni).

Risultati negativi invece per le attività di Refining&Marketing e per la Chimica, rispettivamente pari ad una perdita operativa di 9 milioni (contro un utile di 18 milioni nel primo trimestre 2018 e soprattutto contro i 50 milioni di utile che si attendevano gli analisti) e di 46 milioni (furono 59 milioni di utile nel primo trimestre 2018, il mercato si attendeva una perdita più contenuta, attorno a 10 milioni). 

ENI
 

Ciò nonostante l’utile netto adjusted (rettificato) è aumentato dell’1,4% a 992 milioni, rispetto ai 978 milioni di un anno prima, ma ancora una volta è risultato leggermente inferiore alle attese di consenso (1,050 miliardi). Il tutto a fronte di un calo un poco più accentuato delle attese della produzione petrolifera, dell’1,9% su base annua a 1,832 milioni di barili di petrolio al giorno (contro gli 1,867 milioni di barili al giorno di un anno prima e gli 1,851 milioni di barili al giorno attesi dal consensus).

Il gruppo ha peraltro confermato l’obiettivo di un incremento della produzione di idrocarburi del 2,5% nell’anno ipotizzando un prezzo del Brent in media pari a 62 dollari il barile (contro una quotazione che sfiora i 75 dollari al barile al momento) e al netto delle operazioni di portafoglio. In particolare la riaccelerazione della produzione (che Eni si attende in crescita del 3,5% tra il 2018 e il 2022) dovrebbe essere visibile a partire dal secondo semestre, dopo i lavori agli impianti dei giacimenti di Kashagan e Goliat.

Confermato per il momento anche l’obiettivo di 8 miliardi di investimenti nell’arco dell’intero anno. Soddisfatto dei risultati e delle prospettive il numero uno Claudio Descalzi, che ha sottolineato come complessivamente, la gestione del primo trimestre abbia generato “un flusso di cassa da risultato di 3,42 miliardi di euro, in crescita dell’8% e superiore di 1,5 miliardi agli investimenti di periodo, che sono stati pari a circa 1,9 miliardi, in linea con le aspettative di un valore di 8 miliardi ad anno intero”.

Descalzi esaminando l’andamento dei singoli business ha sottolineato come la divisione Exploration&Production “in presenza di uno scenario di mercato sostanzialmente invariato”, sia riuscita a migliorare i propri risultati economici del 25% rispetto al primo trimestre 2018, “a conferma di una generazione di cassa ad anno intero in crescita”.

Anche i risultati del settore Gas&Power sono in miglioramento con un utile operativo in crescita del 16% a 372 milioni di euro che “dà ulteriore conforto sul conseguimento dell’obiettivo di 500 milioni di risultato ad anno intero”. Infine nel downstream le attività di Refining&Marketing e della Chimica attenuano l’effetto “di uno scenario margini recessivo” mantenendo intatta “l’aspettativa di un ampio recupero nei prossimi nove mesi”.

A conti fatti Eni ha confermato la “qualità e robustezza del proprio portafoglio, capace di coprire nel 2019 costi, investimenti e dividendi” con un punto di pareggio corrispondente ad un prezzo del Brent di soli 55 dollari al barile, oltre il quale verrà generata cassa in eccesso (che potrà evidentemente essere restituita agli azionisti tramite il preannunciato buyback, ndr).

Se il mercato del petrolio continuerà a registrare prezzi vicini ai livelli attuali, insomma, per gli azionisti del Cane a sei zampe potrebbe esserci di che stare allegri, a maggior ragione se il “risiko” del settore apertosi con la sfida tutta americana per Anadarko tra Chevron e Occidental Petroleum dovesse ampliarsi, favorendo un ulteriore re-rating dei titoli del settore.

Luca Spoldi

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