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Economia

Nel 2016 gli investimenti pubblici e privati in Italia sono calati dello 0,1% rispetto al 2015 a fronte di una crescita del 3,2% a livello dell’area euro, confermando il gap tra lo Stivale ed il resto d’Europa. La variazione annuale degli investimenti, pur con un’oscillazione in linea con quella dell’area euro, è però negativa da almeno cinque anni. La distanza è ancor più evidente analizzando il tasso complessivo di variazione: dopo una fase (2000-2006) in cui gli investimenti totali crescono più rapidamente della media dell’area-euro (+20,3% contro il +15,8%), per il periodo 2007-2017 si registra un crollo complessivo di 28,4 punti percentuali, a fronte di un più moderato -4,6% europeo. E in un contesto di calo aggregato dell’intervento in conto capitale di origine pubblica nel Paese, l’attività per investimenti degli enti locali appare quella maggiormente in sofferenza.

Lo rileva il Rapporto sulla Finanza territoriale in Italia di Srm (Centro studi legato ad Intesa Sanpaolo), in collaborazione con Ires Piemonte, Ires Toscana, Eupolis Lombardia, Ipres Puglia e Liguria Ricerche, che si presenta questo pomeriggio a Roma presso la camera dei deputati e che Affaritaliani è in grado di anticiparne i contenuti. Il tema al centro del Rapporto è quello del rilancio degli investimenti pubblici, con approfondimenti sulle regole che ne condizionano l’evoluzione, sui divari territoriali nell’erogazione degli interventi e sui comportamenti dei diversi livelli di governo.

Lo studio rileva che il peso delle manovre di controllo dei conti pubblici, a partire dal 2008, è gravato tutto sugli enti territoriali. Dal 2009, infatti, il tasso di variazione della spesa primaria delle amministrazioni locali è sempre inferiore (-12%) a quello delle amministrazioni centrali (-3%). La dinamica debole degli investimenti, spiegano gli analisti, può essere spiegata da due possibili cause: il difficile avvio della riforma dei conti pubblici e l’introduzione del codice degli appalti. Gli scarsi spazi finanziari legati alla disponibilità di saldi positivi e di avanzi di amministrazione possono avere acuito l’usuale difficoltà ad investire nei territori meridionali, come pure un ulteriore fattore che può aver ostacolato la spesa per investimenti è da ricercarsi nell’eccesso di risparmio, calcolato come differenza fra saldo effettivo e saldo obiettivo, accumulato dai comuni e stimato fra i 3 e i 4 miliardi. Alla riduzione di questi spazi di finanziamento inutilizzati avrebbero dovuto concorrere le intese tra enti locali e Regioni sul mancato utilizzo degli spazi disponibili, con la cessione agli enti che, al contrario, disponevano di spazi insufficienti.

I risultati del primo anno di applicazione dello strumento non sono stati tuttavia incoraggianti, tanto che gli spazi ceduti nel 2016 a livello nazionale e locale ammontano a soli 213 milioni di euro. Oltre il 90% degli spazi complessivamente messi a disposizione risulta appartenere alle amministrazioni del Centro-Nord nelle quali vengono realizzati i surplus più elevati e nelle quali è più consolidata la programmazione pluriennale. Al contrario, le regioni meridionali, risultano praticamente assenti in termini di spazi messi a disposizioni sia a livello regionale che nazionale. D’altra parte, rileva l’indagine, l’attività delle amministrazioni locali può aver subito un freno anche a causa dell’avvio di una riforma contabile complessa e dell’introduzione nell’aprile del 2016 del nuovo Codice dei contratti che se incide in maniera organica su molte delle criticità dei processi e delle pratiche delle amministrazioni, gli aggiustamenti e l’incertezza generata dall’uso estensivo di deleghe ai regolamenti attuativi emanati dall’Anac sembrano aver spinto verso un atteggiamento conservativo, che si è tradotto nel congelamento di gran parte delle gare. La riduzione degli investimenti pubblici delle amministrazioni locali ha avuto effetti rilevanti soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, area che presenta un’elevata dipendenza della propria economia dagli investimenti pubblici.

La spesa sul Pil degli investimenti pubblici in conto capitale è, infatti, pari a più del doppio del dato del Centro Nord (7,4% contro 3,4%). Molto importante è, quindi, il ricorso a politiche di sostegno degli investimenti e, per il Mezzogiorno, si rileva come, pur se con una perdita di risorse legata ai disimpegni automatici, l’utilizzo dei fondi strutturali del ciclo 2007-2013 è stato, per capacità di spesa, fra i migliori nei vari cicli di programmazione (raggiungendo circa il 100% delle risorse finali disponibili). Buoni risultati si registrano anche peri Patti per il Sud che, ad un anno dall’avvio, mostrano come oltre il 50% dell’assegnazione finanziaria iniziale è coinvolta in una qualche forma di procedura di spesa. Il confronto con lo stato di avanzamento complessivo della programmazione 2014-2020 mostra, quindi, scostamenti piuttosto rilevanti considerato che nel complessivo della programmazione 2014-2020 il dato sulla spesa è prossimo al 3%. Il ricorso ai fondi comunitari (ed un loro efficiente utilizzo) continua, quindi, ad essere una leva di primaria importanza per lo sviluppo del territorio, soprattutto considerato il fatto che ormai rappresentano uno dei principali strumenti a cui gli Enti locali fanno ricorso per il finanziamento dei loro investimenti, in un contesto caratterizzato da un costante calo dei mutui e da un ricorso al capitale privato ancora troppo poco esteso. Ciò vale soprattutto per gli Enti territoriali del Mezzogiorno, per i quali ormai da tempo le cosiddette risorse destinate allo sviluppo risultano non più addizionali come dovrebbero, ma completamente sostitutive rispetto a quelle delle politiche ordinarie, praticamente inesistenti. Con la conseguenza che, si legge nel rapporto, nel contesto di forte riduzione delle risorse gli Enti locali sono ancora una volta chiamati a ricercare recuperi di efficienza che potrebbero derivare sia ridefinendo e aggregando il loro perimetro sia riorganizzando le modalità di gestione dei servizi al loro interno.

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