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Economia
Ex-Ilva, 320 milioni o si muore. Ma Taranto è già distrutta senza più stipendi
Adolfo Urso, Giancarlo Giorgetti e Lucia Morselli

Ex-Ilva, Taranto in declino e le scelte del governo

Lo scenario che si prospetta per Acciaierie d'Italia è un labirinto intricato di decisioni, interessi contrastanti e una storia tormentata che si snoda attraverso decenni di alti e bassi. L'attuale bivio, che coinvolge sia lo Stato che i privati rappresentati da ArcelorMittal, è destinato a plasmare il futuro dell'ex Ilva. Un susseguirsi di eventi in circa 60 anni di storia industriale, da Italsider a Ilya fino alla sua attuale denominazione, ha segnato il destino altalenante di questa azienda siderurgica. Lo riporta l'Economia del Corriere.

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Al centro della disputa si trova la questione delle risorse finanziarie necessarie per garantire la continuità operativa di Acciaierie d'Italia. La divisione tra i due soci, con ArcelorMittal che detiene il 62% e Invitalia con il 38%, è emersa il 23 novembre, data della prima assemblea. Mentre per mantenere l'attività sarebbero necessari immediatamente 320 milioni, per il rilancio a lungo termine servirebbero ben 1,5 miliardi, destinati principalmente alla decarbonizzazione entro otto anni. ArcelorMittal si è mostrata restia ad intervenire finanziariamente come richiesto da Invitalia, evidenziando, durante l'ultima assemblea, critiche al governo per presunte mancanze nella formalizzazione delle risorse per la decarbonizzazione.

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Il bivio cruciale si avvicina con due appuntamenti chiave: l'incontro tra rappresentanti sindacali e governo il 20 dicembre, seguito dall'assemblea il 22 dicembre. I sindacati propongono la nazionalizzazione dell'ex Ilva, già prevista negli accordi precedenti con l'incremento della partecipazione di Invitalia al 60%. Tuttavia, l'opzione della nazionalizzazione è oggetto di divisione all'interno del governo. Mentre il ministro Adolfo Urso sostiene l'idea, Raffaele Fitto è fortemente contrario, temendo una voragine di spesa pubblica senza garanzie di rilancio.

Una terza opzione, definita "difficile ma praticabile" dalle fonti di governo, potrebbe coinvolgere una procedura di amministrazione straordinaria attivata da un socio pubblico con almeno il 30% della società strategica, segnalando il ricorrere della legge Marzano. Un'ipotesi estrema che potrebbe rappresentare una via d'uscita in caso di stallo.

Il percorso tormentato di Acciaierie d'Italia ha tratti distintivi già riscontrati nella sua storia passata. Dall'acquisizione da parte del gruppo Riva nel marzo 1995, seguita da 17 anni di gestione privata, fino al sequestro nel luglio 2012 e la successiva ripubblicizzazione nel 2013. Nel 2016, l'Uva viene nuovamente acquisita da ArcelorMittal, aprendo una nuova fase di incertezza. Oggi, con la crisi di liquidità, le emissioni nocive e lo scontro tra i soci, il futuro dell'ex Ilva è avvolto da un'incognita sempre più preoccupante.

Il presente di Taranto è descritto attraverso l'aggettivo "ammalorato", come scrive Gad Lerner sul Fatto Quotidiano, nelle ispezioni dell'Arpa. La fabbrica mostra segni di deterioramento, ammalorato è lo stato d'animo dei lavoratori, e ammalorata è la città stessa. L'indotto, sull'orlo del baratro, avverte il mancato pagamento degli stipendi e della tredicesima, con aziende che temono il peggio. Taranto sembra vivere nell'inerzia, mentre le questioni legate all'ex Ilva restano in secondo piano rispetto ai giochi politici locali.

Il punto di vista dei lavoratori dipinge un quadro deprimente. La produzione è crollata, gli altiforni sono inattivi, la manutenzione è limitata, e la vita operaia si trasforma in una lenta agonia. L'insicurezza sul futuro alimenta la ricerca di alternative lavorative durante i periodi di cassa integrazione, con alcuni che preferirebbero un'opportunità di esodo incentivato. La sensazione è quella di una fabbrica sull'orlo del collasso, con la produzione a singhiozzo e il futuro dei dipendenti in bilico.

Il governo si trova di fronte a una scelta cruciale: procedere con l'amministrazione controllata e la nazionalizzazione di fatto, esautorare l'attuale leadership per evitare la chiusura e preservare il piano decennale di riconversione, o intraprendere una terza via intermedia. La crisi di liquidità, le emissioni nocive e la lotta tra i soci complicano la situazione, creando un contesto di incertezza e preoccupazione. Mentre la città di Taranto rimane divisa tra sostenitori e oppositori di diverse soluzioni, il destino di Acciaierie d'Italia si avvicina a una svolta che potrebbe definire il futuro di un'industria cruciale e di una comunità in bilico tra speranza e timore.
 

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