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Economia
Ex Ilva, il conto se Mittal chiude? Un quinto della spesa dello Stato in Cig

Non solo il calo drastico del prodotto interno lordo che la chiusura dell'ex Ilva porterebbe in dote come impatto negativo sull'intera economia nazionale (3,5 miliardi nel 2020, lo 0,2% del Pil che diventerebbero 22,5 miliardi, l'1,3%, complessivi nel quinquennio 2019-2024). Ma anche l'impatto sull'occupazione e quindi sulle casse dello Stato che in ammortizzatori sociali si tradurrebbe in oltre 200 milioni di euro. Circa un quinto, drenato da una sola crisi aziendale, di quanto l'Italia spende ogni anno in ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti di società finite in difficoltà economica.

La stima delle conseguenze per le finanzie pubbliche dello spegnimento dell'acciaieria più grande d'Europa è di Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che al "Festival del lavoro - Anteprima 2020" a Roma è intervenuta sulla questione ex Ilva. Industria che la multinazionale franco-indiana ArcelorMittal vuole chiudere e la cui crisi sarà oggetto oggi, alle 18.30, di un tavolo di confronto fra il governo italiano e i fondatori Laskhmi Mittal (presidente) e il figlio Aditja (chief financial officer). 

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Gli ammortizzatori servirebbero per gestire le difficoltà dei 10.700 dipendenti passati ad ArcelorMittal, più i 3.100 dipendenti rimasti invece sotto l’amministrazione straordinaria e in cassa integrazione, ma che secondo il contratto stipulato con i commissari sono da assorbire entro il 2023 e i 3.500 circa lavoratori dell'indotto che si occupano di lavori, rifacimento degli impianti, manutenzioni, servizi e pulizie industriali e civili. Monte lavoro che per gli effetti della crisi di un settore importante per l'economia nazionale come la siderurgia potrebbe crescere secondo le stime a 51 mila occupati, gravanti tutti sulle casse dello Stato. 

Per i Consulenti del Lavoro, ad oggi l'operazione con Arcelor Mittal "ha generato un'ingente spesa da parte dello Stato per ammortizzatori sociali". In particolare, spiegano gli esperti, "è prevista una spesa certa di 74,9 milioni di euro per la cassa integrazione, alla quale, in caso di un ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali per l'80% degli attuali dipendenti attivi a seguito del dietrofront di Arcelor Mittal, si aggiungerà una spesa di ulteriori 132,7 milioni".

Gli occhi sono tutti su Palazzo Chigi dove Conte (affiancato dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e da quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli), se registrerà la disponibilità dei Mittal a stoppare la revoca, cercherà di aprire una trattativa per far restare il leader mondiale dell'acciaio a Taranto e far rispettare il contratto che prevede in ultima battuta il passaggio della proprietà dell'intero gruppo (ora in affitto dalla gestione commissariale). 

Da ArcelorMittal ieri è arriva la prima apertura ufficiale per un’intesa con il Governo. "Speriamo che l’in- contro offra l’opportunità di fare buoni progressi nella ricerca della soluzione", ha sottolineato alla vigilia del vertice la multinazionale che  si è detta fiduciosa: "Sarà un incontro, certo non conclusivo, ma molto importante" e "per consentire all’Ilva di continuare a operare sarà necessario concordare un nuovo piano per la produzione di acciaio che sia accettabile per tutti gli stakeholder". 

Oltre al ripristino dell’immunità legale e a una soluzione per l’Altoforno 2, la cui importanza è stata ribadita anche ieri dall’azienda, la revisione dell'output produttivo dell'impianto è centrale nel confronto. Secondo fonti governative, riporta il Sole 24 Ore, il contratto con ArcelorMittal è in effetti modificabile nella parte relativa al piano industriale "in presenza di scostamenti significativi della situazione economica e di mercato". Ma con il "mantenimento dei livelli occupazionali", punto su cui il Governo è molto fermo e su cui non si tratta. L’esecutivo potrebbe quindi aprire a variazioni temporanee dei livelli produttivi (rispetto ai 6 milioni di tonnellate fissati la produzione è già scesa a 4,5 milioni) ma senza accettare che gli esuberi dichiarati da Mittal siano strutturali.

Un altro tassello della revisione del piano, prosegue il Sole, riguarda le bonifiche, con possibile defiscalizzazione degli investimenti, e gli impegni prospettici sull’area a caldo. Area a caldo che potrebbe essere ridimensionata nei prossimi anni, quando progetti pilota per l’utilizzo del gas o dell’idrogeno saranno maturi per trasformarsi in capacità produttiva alternativa al ciclo integrale. Ai temi citati esplicitamente da Mittal si aggiunge un altro elemento che la multinazionale avrebbe posto sul tavolo: il coinvolgimento dello Stato attraverso le sue società.

Intanto, mentre le procure sono partite all’assalto del gruppo accendendo un faro su eventuali condotto fraudolente nella gestione dell'impinato pugliese, stamattina i carabinieri del Noe di Roma, del Nucleo sulla sicurezza sul lavoro e del Comando provincial hanno svolto delle ispezioni nello stabilimento di Taranto. Una ispezione, delegata dalla procura nell'ambito delle indagini avviate dopo l'esposto dei commissari dell'Ilva in As. Le verifiche riguardano le operazioni di bonifica nello stabilimento, la situazione generale della fabbrica, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro. A queste indagini collaborerà anche l'Ispra.

 

 

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