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Economia
Fca, a Mirafiori la 500 elettrica. Ma la ripresa italiana resta un miraggio

Ufficialmente i sindacati sono soddisfatti e rassicurati: dopo l’incontro coi vertici di Fiat Chrysler Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil, si dice rassicurato “sul futuro del gruppo automobilistico e, in particolare, su quello degli stabilimenti italiani” dato che “gli investimenti e i modelli messi in campo (oltre 5 miliardi tra il 2019 e il 2021 a fronte del restyling o del lancio di 13 nuovi modelli tra cui la nuova Fiat 500 elettrica, il Suv compatto Alfa Romeo e la versione europea della Jeep Compass, ndr) sembrano essere tali da garantire quel percorso di sviluppo che avevamo auspicato e indicato”.

Investimenti, fa eco il segretario generale Fim Cisl, Marco Bentivogli, dovuti “a chi nei momenti difficili non è scappato dalle responsabilità”, ossia ha accettato di firmare quel nuovo contratto che Sergio Marchionne impose fin dal 2010 scontrandosi duramente con la Fiom di Pomigliano d’Arco e che trasformò l’ex stabilimento Alfasud da un esempio di scarsa efficienza ad una fabbrica premiata per la sua produttività (tanto che la stessa Volskwagen pochi anni dopo mandò i suoi ingegneri a studiarne le tecnologie e il modello organizzativo).

Anche così, il piano industriale 2018-2022, l’ultimo firmato da Marchionne, resta focalizzato sulla definitiva “globalizzazione” di un marchio che necessariamente deve legare sempre meno il suo destino a quello di un mercato limitato e maturo come quello italiano e deve cercare di guadagnare quote di mercato sia negli Usa e in Europa, sia nei mercati emergenti, Cina in primis (dazi di Trump permettendo). Un piano che, va ricordato, prevede investimenti per 45 miliardi (40 dei quali saranno dunque effettuati fuori dal nostro paese) e il lancio di 29 modelli nuovi o restiliczzati.

I 5 miliardi investiti in Italia, ha sottolineato il responsabile area Emea, Pietro Gorlier, faranno leva sulla capacità produttiva esistente con l’obiettivo di saturare gli impianti italiani e mantenerne la piena occupazione. Una notizia certamente positiva che però indirettamente conferma come al momento esista un eccesso di capacità produttiva rispetto all’andamento del mercato (come testimonia del resto il ricorso alla cassa integrazione in alcuni stabilimenti come Mirafiori).

I numeri chiariscono la situazione meglio di mille parole: in Italia nei primi 10 mesi dell’anno si sono vendute in tutto poco più di 1,638 milioni di vetture (con un calo del 3% sull’analogo periodo del 2017), di cui 282.540 a marchio Fiat (-20% su base annua), 70.795 a marchio Jeep/Dodge (+76%)39.738 a marchio Lancia/Chrysler (-25%), 39.338 a marchio Alfa Romeo (+2%) e 2.407 a marchio Maserati (-6%), per un totale di circa 435 mila vetture.

Nello stesso periodo in Europa si sono vendute poco più di 13 milioni di vetture (+1,6% su base annua), col gruppo Fca che ha immatricolato 891.498 vetture (-1,8%), mentre negli Usa le vendite del gruppo hanno raggiunto 1.857.374 unità (+7%) a fronte di un mercato che ha visto poco meno di 4,5 milioni di immatricolazioni (in calo di quasi 650 mila unità rispetto all’anno precedente). Al di là dell’augurabile successo dei singoli modelli e dell’efficientamento ulteriore dei singoli impianti, che il destino di Fca si giochi sui mercati esteri più che su quello italiano è da tempo evidente e inevitabile.

Luca Spoldi

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