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Economia
Fca, nessun tracollo in Borsa grazie alla continuità nel segno di Marchionne

Di Luca Spoldi

Chi temeva “sfracelli” in borsa sarà rimasto deluso: al termine delle contrattazioni a Milano Ferrari, che dovrà presentare il nuovo piano industriale in settembre, ha chiuso sopra i minimi a -4,9%, seguita da Exor (-3,2%) e Cnh Industrial (-1,7%). Fiat Chrysler Automobiles - che registra anche le dimissioni del capo dell'Europa, Alfredo Altavilla - limita le perdite a -1,5% dopo un'apertura a -5%. Una conferma che l’improvvisa uscita di scena di Sergio Marchionne priva il gruppo italo-americano certamente di quello che è stato il suo migliore top manager degli ultimi 50 anni e rischia di mettere sotto pressione per qualche tempo i titoli del gruppo (Exor, Fca e Cnh Industrial) per la minore visibilità su strategie e risultati ottenibili.

Ma anche che la capacità di questo figlio di un maresciallo dei carabinieri trasferitosi in Canada una volta in pensione, divenuto prima avvocato d’affari e poi amministratore e rifondatore di un gruppo che 14 anni or sono appariva decotto ed ora è più che dignitosamente il sesto produttore automobilistico mondiale, ha consentito di raggiungere il risultato più importante di tutti: plasmare a un gruppo in grado di sopravvivere al suo artefice.

I nomi dei suoi sostituti appaiono tutti essere nel segno di una continuità rispetto al sentiero tracciato da Marchionne per il prossimo quadriennio: Mike Manley (finora responsabile dei marchi Jeep e Ram) come Ceo di Fca è una “scelta ragionevole” secondo gli analisti di Equita Sim, visto che il business da lui curato fino alla sua promozione già garantiva il 60% del fatturato e, ancor più importante, l’80% dell’Ebit (risultato operativo) dell’intero gruppo. Non solo: proprio la crescita di Jeep già nei piani di Marchionne doveva essere l’architrave per centrare gli ambiziosi obiettivi prefissati per il 2022.

Suzanne Heywood (dal 2016 managing director di Exor) come presidente di Cnh Industrial (nel cui Cda la Heywood già sedeva in rappresentanza di Exor) con la conferma del Coo Emea, Derek Nielsen, come Ceo ad interim (ormai da 4 mesi), mantiene invece una maggiore incertezza, quanto meno per quanto riguarda il futuro spin-off di Magneti Marelli, il cui processo Marchionne è comunque riuscito ad avviare nelle passate settimane, e l’eventuale futura alleanza (o cessione) di Comau, che lo stesso Marchionne non prevedeva potesse essere d’attualità prima del 2019, ma non dovrebbe cambiare significativamente le prospettive di Cnh Industrial, che infatti in borsa cede intorno al 2% (con un bilancio degli ultimi 12 mesi, su cui molto hanno pesato le tensioni commerciali legate alla politica di Trump, che peggiora a circa un -15%).

Infine John Elkann come presidente e Louis Camilleri (chairman di Philip Morris, già nel Cda di Ferrari dal 2015) come Ceo di Ferrari rappresentano un vero passaggio di consegne, con Camilleri che avrà fin da subito il compito di presentare (e poi realizzare) il business plan pianificato per settembre, con l’obiettivo, preannunciato da Marchionne, di raddoppiare l’Ebitda del cavallino a 2 miliardi di euro entro il 2022. Dei tre “successori” di Marchionne, Camilleri, manager internazionale di altissimo livello, tra i più pagati d’America (9,7 milioni di dollari di retribuzione annua) e con un patrimonio di oltre 150 milioni di sterline ma che non ha mai avuto esperienze specifiche nel settore del lusso, ha il compito più delicato di tutti.

Il mercato lo ha capito, tanto che proprio Ferrari perde oltre il 4% a metà giornata, pur mantenendo un guadagno superiore al 35% rispetto a 12 mesi or sono e scusate se è poco. Le successioni anticipate di Marchionne segnano peraltro anche un’altra uscita “pesante” dal gruppo, quella di Alfredo Altavilla, dimessosi da responsabile dell’area Emea di Fiat Chrysler. Altavilla era dato tra i “papabili” come nuovo Ceo di Fca fino a poche settimane fa, quando erano iniziate a circolare voci circa la caduta delle sue quotazioni. Quella di Altavilla, tarantino 55enne, laureato alla Cattolica di Milano, recentemente nominato nel Cda di Telecom Italia su proposta del fondo Elliott, sembra anche essere un simbolico passaggio di consegne.

Entrato in Fiat Autonel 1990, Altavilla dopo essere stato il manager incaricato di curare le attività di sviluppo dell’alleanza, poi abortita, con General Motors, era stato promosso da Marchionne, al suo arrivo ai vertici del gruppo nel 2004, a responsabile di tutte le alleanze industriali. Un manager italiano, posto da un altro manager italiano a coordinare le attività internazionali di un gruppo che da piccolo produttore nazionale tentava, riuscendovi, di trasformarsi una vera multinazionale. Ora il passo indietro, mentre le prime linee del top management del gruppo sono ormai rappresentate da manager internazionali a cui debbono riportare (anche) i manager italiani, sembra indicare che anche questo “cambio di pelle” è completato. Inutile lamentarsi della perdita di “italianità”: la vittoriosa parabola di Sergio Marchionne dimostra che ciò che è realmente importante per i mercati e per chi ha rapporti di lavoro o d’affari con un’azienda è che l’azienda stessa riesca a rinnovarsi continuamente seguendo i suoi mercati, anche a costo di dover cambiare pelle. Non farlo significa condannare l’impresa a morte lenta, eventualmente dopo aver bruciato fondi pubblici, un rituale ancora duro a morire in Italia, a cui Marchionne non ha mai voluto né dovuto cedere.

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