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Economia
Fiat, il mercato attende i nuovi prodotti. Elkann in manovra per GM

di Andrea Deugeni
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@andreadeugeni

Non ingannino le percentuali di crescita i commenti roboanti con cui da Detroit, il quartier generale del gruppo Fca, hanno annunciato al mercato l'ennesimo rialzo delle vendite Fiat-Chrysler negli States  (+13% a dicembre con 217.527 immatricolazioni), "il 69esimo mese consecutivo di aumenti", anche grazie al successo che la 500 sta avendo nella terra dei Suv. Numeri che hanno sostenuto il titolo Fca in una Borsa molto volatile che sta carcando di capire quanto vale una Fca orfana di Ferrari (pure il titolo del Cavallino oggi ha sfrecciato a Piazza Affari, sopra la soglia dei 45 euro).

Fiat-Chrysler resta ben lontana dal target dei 7 milioni di autoveicoli immatricolati nel mondo (soglia che, come ha ammesso lo stesso amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne, farebbe sopravvivere l'azienda alle pressioni di un settore maturo e competitivo come quello delle quattroruote). E, dunque, rimane anche una preda. Oltretutto, finanziariamente più debole, senza l'80% di Ferrari in pancia. Archiviato lo spin-off della Rossa di Maranello e come sottolineato anche dal capo azienda ieri nel parterre di Piazza Affari, il focus ora è sul piano industriale: gli occhi del mercato sono tutti puntati sulla realizzazione dei target al 2018 e a ben poco servirà, secondo gli analisti, l'aggiornamento della strategia nella linea prodotti (almeno per l'anno che è appena iniziato) che il Lingotto presenterà nelle prossime settimane.

Secondo gli addetti ai lavori, il 2015 dovrebbe essersi chiuso circa a quota 4,8 milioni e, con il Brasile in crisi conclamata dove Fca è leader delle vendite e la Cina in modalità soft landing, solo un miracolo potrebbe consentire a Fiat-Chrysler di portare a casa due milioni di vetture aggiuntive in poco più di 30 mesi in un mercato iper-concorrenziale come quello dell'automotive

Marchionne dunque, prima di accomiatarsi dalla guida della cenerentola di Detroit magari dedicandosi solo alla Rossa di Maranello (cosi si vocifera), dovrà fare i salti mortali per realizzare un fatturato di 132 miliardi di euro, un Ebit di 8,7-9,8 miliardi, un utile netto attorno ai 5 miliardi e una posizione finanziaria netta attiva. Una società interamente ripulita dai debiti del passato e rimessa in sesto per convolare a nozze con la futura promessa sposa che il manager italo-canadese ha individuato nella corazzata General Motors.

Mission impossible, visti i continui dinieghi di Miss Mary Barra, il Ceo e neopresidente di GM e considerando la grossa diparità nella capitalizzazione di mercato dei due attori dell'automotive (circa 10 miliardi Fca e poco meno di 50, la regina di Detroit)? No, considerando l'azionariato frammentato (con molti fondi e istituzioni finanziarie e in cui Marchionne può contare anche su qualche alleato come il potente sindacato Uaw) di General Motors, platea da ingolosire con le sinergie e il guadagno in termini di apprezzamento del titolo GM che il Lingotto potrebbe portare in dote. E gli Agnelli farebbero pure il colpaccio risultando a fine merger il principale azionista individuale partendo da un piccolo nocciolo di azioni (magari da far crescere) del 5% circa della nuova (public company delle quattroruote) GM-Fca.

Ma questa è un'altra partita che, come ha rivelato ieri Marchionne, impegnerà il rampollo John Elkann. Che nei salotti finanziari di Wall Street si è già fatto conoscere e accreditato con la vittoria di Exor sul colosso della riassicurazione Partner Re. C'è chi assicura, poi, che il blasone che gli deriva dal controllo del prestigioso gruppo editoriale The Economist sarà un ottimo biglietto da visita per il giovane Agnelli.

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