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Economia
Flat Tax, c'è un buco da 90 miliardi. Vantaggi per redditi oltre 40 mila euro

Con il crescere della speranza che si formi un nuovo esecutivo, diviene centrale il dibattito sulla Flat Tax, un sistema che, prevedendo un’unica aliquota indipendentemente dal livello di reddito personale dei contribuenti, aspira a sostituire l’impianto attuale, quello che, con la riforma tributaria del 1974 volta ad attuare l’art 53 della Costituzione, istituiva l’Irpef, un’imposta che persegue la progressività tramite il meccanismo degli scaglioni con aliquote differenziate, di cui oggi se ne contano cinque: dal 23% fino a 15mila euro al 43% oltre i 75mila.

Salvini di maio governo lega m5s ape
 

Tale impianto è stato inquinato, sin dalla riforma del 1983, dal sistema dei crediti, delle detrazioni e delle deduzioni. Queste agevolazioni sono diverse per tipo di lavoro (maggiori quelle per i dipendenti) e possono avere una struttura per classi di reddito, oppure essere fissate in percentuale dell’onere sostenuto, ovvero in misura fissa. Al momento se ne contano un’ottantina, di cui quelle per oneri detraibili annoverano sette diverse aliquote (19%, 26%, 36%, 50%, 55%, 65% e 85%).

Ebbene, la domanda alla quale devono dare risposta i fautori della tassa piatta è che cosa ne sarebbe del sistema di sconti d’imponibile e d’imposta. Come dimostra, infatti, un confronto fra imposte teoriche ed effettive sia con aliquote progressive sia con Flat Tax, la questione non è di poco conto perché il loro destino determinerebbe la reale portata della riforma. Le attuali aliquote e scaglioni, in assenza di sconti, avrebbero determinato un gettito Irpef pari a 231 miliardi.

soldi
 

Diversamente 35 miliardi di euro deduzioni e 68 miliardi di euro di detrazioni (dati dichiarati per il 2016), riducendo l’imposta netta a 156 miliardi di euro, provocano una marcata differenza fra il tax rate teorico e quello effettivo, con il risultato di un’ampia fascia di esenzione (i contribuenti che dichiarano un’imposta netta pari a zero raggiungono i 10 milioni, con un peso del 24,5% sul totale), un’incidenza media dell’Irpef pari al 19% per la totalità dei contribuenti (di cui i ¾ entro il 15%) e meno di 300 mila soggetti (quelli con un reddito complessivo superiore ai 100mila euro) con una pressione Irpef pari o superiore al 33%.

Una prima aliquota al 15% fino ad 80mila euro ed al 20% oltre quella soglia (questa è l’ipotesi sulla quale sta lavorando l’alleanza Lega-M5S), a parità di oneri deducibili e detrazioni d’imposta, generebbe una fascia di esenzione fino a 12mila euro e 30 milioni (su 40) di contribuenti con un’imposta effettiva pari o inferiore al 5%. Il tutto al costo di 90 miliardi di euro di minore gettito per le casse erariali, un ammanco che anche le più favorevoli previsioni di emersione di base imponibile rendono difficilmente colmabile.

Per attuare la famigerata tassa piatta, rimarrebbe come unica eventualità favorevolmente percorribile quella di mettere mano agli sconti fiscali, con il rischio che una misura di generale riduzione della pressione fiscale, potrebbe portare ulteriori distorsioni a danno delle classi meno abbienti.

Come si dimostra con una simulazione della medesima versione di tassa a due aliquote ma in assenza di deduzioni e detrazioni, un’imposta globale contrattasi di 26 miliardi di euro a 130 miliardi, sarebbe teatro di importanti redistribuzioni: mentre le classi di reddito fino a 20 mila euro, composte da un universo di 24 milioni di contribuenti, subirebbe un aggravio d’imposta pari a 15 miliardi di euro, quelle superiori realizzerebbero un vantaggio di 41 miliardi, beneficio proporzionalmente crescente all’aumentare del reddito, con un taglio del 50% della pressione fiscale già a 40 mila euro.

 

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