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Economia
Fondazioni, parte il risiko del potere. Le nozze fra i soci delle banche

Che il settore bancario italiano (se non europeo) sia destinato a un'ulteriore serie di fusioni e acquisizioni è ormai noto a tutti, ma ormai da più parti si ritiene inevitabile che il processo di concentrazione debba coinvolgere anche le fondazioni bancarie, ancora azioniste nel sistema italico del credito di molti istituti, per garantire loro di disporre di un patrimonio sufficiente a proseguire con l'opera di erogazione di risorse a favore del territorio di riferimento. Un tema finora tabù ma sempre presente a livello di discussioni e che sta iniziando a vedere le prime "messe in opera" con l'annunciata fusione tra le fondazioni CariCuneo e CariBra e le voci di un possibile matrimonio tra fondazione Cariverona e fondazione Cassamarca (Treviso).

La stessa associazione di categoria, l'Acri (guidata fin dal 2000 da Giuseppe Guzzetti, presidente di fondazione Cariplo, ma in procinto di rinnovare i vertici l'anno venturo), ha ormai iniziato a suggerire una semplificazione generale del sistema delle fondazioni dove le 5 "big" (su 88 in tutto esistenti) controllano il 50% del patrimonio, mentre altre 53 fondazioni piccole e medie pesano per appena il 10% complessivo. Visto anche il "risiko" in corso tra le "banche-figlie", sembrerebbe dunque arrivato il momento di ridurre enti e poltrone, ma il problema oltre che politico è anche giuridico (occorre infatti ogni volta sciogliere le fondazioni che si vogliono integrare, riformare un nuovo soggetto e ottenere il beneplacito del Tesoro).

A monte tuttavia il vero problema riguarda l'eredità della sventurata gestione del patrimonio delle fondazioni stesse, mantenuto per troppi anni concentrato quasi esclusivamente nelle partecipazioni dirette nel capitale delle banche-figlie. Una concentrazione di risorse che ha causato, con l'esplodere della crisi economico-finanziaria del 2007-2008 prima e di quella del credito sovrano del 2010-2011 poi, un depauperamento dei patrimoni a livelli impressionanti.

Si prenda la fondazione Montepaschi: costituita il 28 agosto 1995 in ossequio alla legge Amato-Carli del 1990 che imponeva la costituzione di fondazioni bancarie per separare la proprietà pubblica dalla gestione degli istituti di credito, la fondazione (controllata dal Comune di Siena) mantenne a lungo una partecipazione del 51% nella neonata Banca Mps Spa.

Rimasta a lungo in uno "splendido isolamento" nonostante si fosse già messo in moto una prima fase di consolidamento del settore bancario, Mps tentò poi tra il 1998-1999 di diventare un "polo aggregante", rifiutando prima un matrimonio con Bnl, ma rilevando poi la Banca agricola mantovana (col sostegno di alcuni imprenditori e finanzieri tra cui Roberto Colaninno) e quotandosi in borsa. Vennero poi rilevate la Banca del Salento (controllata dalle famiglie Semeraro, Gorgoni e Montinari), poi ridenominata Banca 121, e, nel 2007, la Banca Antonveneta.

Un ultimo boccone costato 9,25 miliardi di euro che andò di traverso all'istituto senese che dovette iniziare a ricorrere ad aumenti di capitale, vedendo via via ridursi il peso della fondazione dapprima fino al 33,5%, poi al 2,5%, all'1,5% e infine a circa lo 0,1% attuale. Nel frattempo la fondazione iniziava, tardivamente a redistribuire l'ormai ridotto patrimonio (dai 5,4 miliardi di euro dichiarati a fine 2010 ai 432 milioni iscritti a bilancio a fine 2016) in altre partecipazioni come Biofund Spa, Vernice Progetti Culturali e Sansedoni immobiliare.

Gli oltre 5 miliardi di patrimonio bruciato difficilmente torneranno nelle disponibilità di fondazione Montepaschi, che però non ci sta a rimanere col cerino in mano e, come racconta Sergio Rizzo, giornalista di Repubblica nel suo nuovo libro “Il Pacco, indagine sul grande imbroglio delle banche italiane” (editore Feltrinelli), avvia una serie di cause per risarcimento danni per oltre 3 miliardi di euro complessivi nei confronti di tutti coloro che ebbero un ruolo negli aumenti di capitale a raffica che contribuirono a far crollare di quasi 18 miliardi di euro il valore di Mps nel giro di un decennio: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Imi, Mediobanca, Credit Agricole CIB, Deutsche Bank, Natixis, Rbs, Jp Morgan Chase, Barclays Bank, Goldman Sachs, Generali, Ace European Group, i Lloyd's di Londra, ed ex amministratori e advisor che si sono succeduti negli anni. Banche, assicurazioni e persone fisiche e persino il Tesoro, che hanno tutti avuto un qualche beneficio dalla lunga sofferenza di Mps, a differenza della sua fondazione "madre".

Luca Spoldi

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