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Economia
Hong Kong-dazi affossano le borse. Scatta la corsa a Bund, T-bond, oro

Brutto inizio di settimana per Piazza Affari e le borse europee (Milano ha chiuso con un ribasso dell'1,3%. Parigi -2,19%, Londra -2,47%, Francoforte -1,8% e Madrid -1,3%. Lo spread ha chiuso in rialzo a 208 punti), in calo dopo che già la mattinata in Asia si era chiusa con una selva di segni negativi con  l’indice Msci Asia Pacific che ha vissuto il suo peggior lunedì dallo scorso marzo, Tokyo che ha visto il Nikkei225 chiudere in calo dell’1,74% mentre anche i listini azionari cinesi di Shenzhen (-1,66%) e Shanghai (-1,62%) sono tornati a perdere tereno, peraltro superati al ribasso nettamente dalla borsa di Hong Kong (-2,85%) e Seul (-2,56%).

Il listino cinese sconta la crescente tensione tra i manifestanti a sostegno della democrazia e le autorità dell’ex colonia britannica, mentre quello della Corea del Sud patisce particolarmente il rischio legato alla seconda guerra commerciale incombente, quella tra il paese e il Giappone in ambito high-tech (e infatti l’indice tecnologico di Seul ha chiuso a -7,4%).

Già la scorsa settimana la tensione sui mercati era salita dopo che il presidente americano Donald Trump aveva minacciato di imporre dal prossimo primo settembre dazi del 10%, elevabili al 25%, sui rimanenti 300 miliardi di dollari di import dalla Cina in caso di mancato accordo commerciale. A peggiorare la situazione è ora arrivata la risposta di Pechino. Che ufficialmente non ha commentato, ma ha poi consentito, oggi, allo yuan cinese di toccare il minimo degli ultimi 7 anni contro il dollaro.

Non solo: Pechino ha chiesto alle compagnie a controllo statale di sospendere l’importazione di prodotti agricoli dall’America. La pistola che Trump, come sua tattica negoziale, ha posato platealmente sul tavolo ha prodotto l’effetto opposto a quanto probabilmente desiderato e questo preoccupa gli investitori che non a caso stano vendendo in generale asset “a rischio” rifugiandosi in “porti sicuri” come i T-bond americani, il cui rendimento torna a calare, lo yen giapponese, in recupero contro le principali valute, o i Bund tedeschi, nuovamente sui minimi storici ed ormai con l’intera curva che offre rendimenti nominali negativi dai 3 mesi ai 30 anni.

Secondo Schroders,  la Cina avrebbe voluto includere in qualsiasi accordo la rimozione dei dazi: facendo l’opposto Trump ha “alzato la voce” ed ora entrambe le parti rischiano di trovarsi in una posizione in cui non possono tirarsi indietro senza “perdere la faccia”. Di conseguenza, la prospettiva di un accordo si è ridotta e i rischi di un’escalation sono aumentati, così come la possibilità che la Federal Reserve rompa gli indugi e tagli più aggressivamente i tassi per evitare un’eccessiva rivalutazione del dollaro. Inducendo a sua volta la Bce a muoversi in una reazione a catena che potrebbe coinvolgere anche la Banca nazionale svizzera e, forse, la Banca d’Inghilterra.

Anche in una fase di forte turbolenza, gli investitori stanno comunque cercando di dare un peso alle varie vicende, così la crisi di Hong Kong (al terzo giorno consecutivo di scioperi contro il governo) penalizza in particolare gruppi come Hsbc, in calo di quasi 2 punti. La maggiore banca d’Europa che realizza in Asia l’80% dei suoi profitti, avendo ad Hong Kong il suo quartier generale regionale, oggi ha pealtro anche annunciato l’uscita di scena, a sorpresa, del suo Ceo John Flint e ulteriori 4 mila esuberi entro l’anno e questo non ha certamente contribuito.

Ancora peggio Cathay Pacific Airways (-4,24% a fine giornata) e Air China (-5,96%), direttamente colpite dagli scioperi al pari di Hong Kong Airlines (che però non è quotata). Non sembrano per ora correre il rischio di una decisa correzione, invece, i grandi gruppi immobiliari di Hong Kong, per la semplice ragione che continua ad esserci uno squilibrio tra domanda (elevata) e offerta (limitata). Anche se, avvertono alcuni, l’incertezza politica coniugata agli astronomici prezzi degli immobili potrebbe definitivamente allontanare i giovani dal “sogno” di comprarsi una casa e forse indurli a lasciare la città.

A pagare le tensioni crescenti tra Usa e Cina è infine anche il petrolio, che torna a perdere quota col future sul Wti sotto i 54,5 dollari al barile, perché gli investitori, che secondo Mizuho non si erano sinora ancora resi completamente conto del pericolo rappresentato da una frenata degli scambi commerciali mondiali, adesso iniziano a vedere nero e preferiscono alleggerire le posizioni in attesa di vedere come andrà a finire, magari parcheggiandosi sull’oro che, al contrario, rimbalza oltre i 1.475 dollari l’oncia. A occhio e croce gli ingredienti per una “tempesta perfetta” sui mercati d’agosto ci sono tutti, quel che nessuno si azzarda a dire è se durerà lo spazio di qualche seduta o andrà avanti per più settimane.

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