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Economia
Banche, Visco rilancia il risiko. Ecco chi va verso la fusione

Settore bancario italiano sempre sotto i riflettori dei mercati, complice uno spread Btp-Bund che torna a impensierire e una serie di delicate partite da sistemare. Partite che non riguardano solo Banca  Carige, per la quale Warburg Pincus ha fatto sapere di voler andare avanti solo in presenza di altri partner che però al momento non sembrano poter essere banche italiane nonostante il pressing di governo e Banca d’Italia, o Mps, per il quale restano incerti i tempi del disimpegno del Tesoro (attualmente socio con oltre il 68% del capitale).

 

Durante le sue considerazioni finali sul 2018, il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha infatti osservato oggi come nonostante sia proseguito anche lo scorso anno “il rafforzamento dei bilanci delle banche italiane”, permangono “casi di difficoltà di  banche  di  medie  dimensioni” già all’attenzione delle autorità di vigilanza italiane ed europee (Carige e Mps, appunto), ma non solo. 

Complice anche il più elevato “rischio paese”, per le banche minori “l’accesso al mercato resta difficile”.

 

In particolare le “banche popolari classificate come meno significative a fini di vigilanza” (Less Significant Institutions, o Lsi) presentano un rapporto tra costi e ricavi superiore a quello medio (che è giudicato “ancora elevato” essendo pari al 66%), il “rendimento del capitale inferiore” (quello medio di sistema, pari al 5,7%, viene giudicato da Visco “inferiore a quello che gli investitori chiederebbero per sottoscrivere azioni di nuova emissione”,  mentre “la consistenza dei crediti deteriorati (è) ancora elevata”. Per questi intermediari, ha concluso il numero uno di Via Nazionale, “è pressante l’esigenza di realizzare forme di stretta cooperazione o aggregazioni che consentano di competere sul mercato”.

 

Con chi ce l’aveva Visco? Gli istituti italiani classificati come Lsi erano a fine 2016 il terzo raggruppamento per importanza in Eurolandia rappresentando il 15% dei 3.267 istituti censiti all’epoca, venendo dietro alla Germania (53%) e all’Austria (16%). Se ci si limita agli istituti popolari “Lsi”, quelli italiani sono in tutto una ventina scarsa, tra cui spicca la Banca popolare di Bari (Bpb), da tempo in affanno. E’ dunque probabile che Visco si riferisse proprio all’istituto controllato dalla famiglia Jacobini.

 

Bpb secondo le ultime voci di mercato potrebbe infatti fare da capofila ad una “superholding” che raccoglierebbe una quindicina di istituti popolari del Centro-Sud. Tra queste potrebbero esservi la Banca popolare del Cassinate, quella del Frusinate, di Cortona, di Lajatico, di Valconca, la Popolare del Lazio, la Popolare di Fondi, la Popolare del Mediterraneo, la Popolare delle province molisane, la Popolare di Puglia e Basilicata, la Popolare di Spoleto, la Popolare pugliese, la Popolare Sant’Angelo e la Popolare vesuviana. Tutti istituti, si noti, inseriti nella lista delle “Lsi” italiane.

 

L’istituto presieduto da Marco Jacobini dovrebbe in realtà “spacchettarsi” in due entità, una appunto destinata a confluire nella superholding, l’altra a restare una realtà radicata nel territorio. Questo soprattutto se dal governo gialloverde arrivassero i due attesi “aiutini” ossia l’innalzamento della soglia che fa scattare la trasformazione obbligatoria in Spa da 8 a 30 miliardi e poi i nuovi incentivi fiscali per agevolare proprio le aggregazioni tra banche di piccola dimensione (popolari o meno che siano).

 

Le due norme piacciono alla Lega, mentre il ministro dell’Economia e Finanze, Giovanni Tria, avrebbe ormai sostanzialmente completato lo studio degli incentivi che dovrebbero prevedere, secondo indiscrezioni circolate sulla stampa italiana, la trasformazione in crediti d’imposta delle “attività fiscali differite” (finora fuori dal patrimonio di vigilanza) degli istituti appunto al di sotto dei 30 miliardi di euro di attivo di bilancio, come nel caso di Banca popolare di Bari (Bpb).

 

In cambio gli istituti beneficiari dovrebbero pagare un canone annuo, da versare nell’esercizio in cui avviene l’aggregazione e nei dieci successivi. Canone che salvo sorprese dovrebbe essere pari all’1,5% della differenza fra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate come risultante alla data di chiusura dell’esercizio precedente e che dovrebbe evitare il rischio che la Ue giudichi una simile norma un “aiuto di stato”. Una volta varate norme e incentivi pro-aggregazioni, anche le piccole popolari del Nord, come in particolare la Banca popolare di Sondrio, o le popolari di Valsabbina, di Piacenza, di Cividale, di Sanfelice e di Valconca non potranno fare più orecchie da mercate.

 

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