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Economia

Un prezioso articolo di Luca Ricolfi, sul Sole24Ore, mette in fila alcuni dati interessanti. I Trattati europei sono “severi sul deficit pubblico” e indulgenti sul debito. Mentre i mercati – lo dimostra l’analisi statistica - si preoccupano più del debito che del deficit, e lo dimostrano con lo spread. Dunque a suo parere un Paese dovrebbe preoccuparsi più del debito pubblico che del deficit. L’esatto contrario di ciò che esige l’Europa. Ed ha ragione il governo italiano quando punta più alla riduzione del debito che a mantenere il sacrosanto livello del deficit.

In parte ci si è riusciti, dice Ricolfi, se non a diminuire il debito, almeno a diminuirne la crescita. All’inizio della crisi il debito pubblico nominale aumentava all’incirca del 4% l’anno, poi è sceso a poco a poco, fino all’1,7% dei primi sette mesi del 2016. Purtroppo, passando dal numeratore (il debito) al denominatore (il Pil), sappiamo che ora quest’ultimo non crescerà nemmeno dell’1%. Il primo cresce poco, il secondo cresce ancora di meno. “L'ultima variazione tendenziale del debito pubblico in termini reali segna +2.4%, l'ultima variazione tendenziale del Pil segna +0.8%. E' come dire che facciamo debiti a un ritmo triplo rispetto a quello con cui crescono le nostre risorse”. Una fatica di Sisifo, scrive Ricolfi. E “nessuno, ma proprio nessuno, pare avere un'idea praticabile”.

Il problema in realtà non è quello del deficit, e neppure quello del debito pubblico: è quello del loro rapporto, cioè del bilancio fra le due grandezze.

Non si tratta di spendere molto o poco, di guadagnare poco o molto: se uno spende molto ma guadagna ancora di più, si chiama ricchezza. Se spende poco, ma guadagna ancora di meno, si chiama miseria e – ai tempi di Charles Dickens – prigione per debiti. Ecco perché la questione sembra futile. Se i mercati vedono che il debito aumenta, ma il Pil aumenta parecchio di più, non si allarmeranno di certo. Se invece il Paese è economicamente fermo e il debito aumenta, si paventa giustamente che arrivi il momento in cui non potrà far fronte nemmeno al pagamento degli interessi.

Il rapporto debito/Pil può migliorare se il Paese è talmente florido da avere una crescita del Pil superiore alla crescita del debito, o se è capace di risparmiare tanto, da potere ridurre il debito. In ambedue i casi i mercati sono indotti a pensare che la situazione migliorerà, e dunque possono comprare i titoli di Stato. Se invece il Paese cresce meno del suo debito, o se comunque non riesce a ridurre il suo debito, sarà chiaro che le prospettive future non sono migliori del presente, e i mercati si allarmano.

Ricolfi dice che si bada troppo al deficit: ma ciò significa soltanto che l’Europa non crede affatto alla capacità degli Stati membri di ridurre il debito. L’unica soluzione è un incremento del Pil: ma, appunto, che significa, “aumento del Pil?” È giusto chiederselo perché di solito se ne parla come di una grandezza astratta, che dipende dalle stelle.

Il Pil è la quantità annuale di ricchezza prodotta dal Paese. Calcolata magari in modo cervellotico e discutibile (ne fanno parte le spese dello Stato!) ma è comunque certo che se la gente guadagna e spende sempre di più, quella grandezza aumenta, e aumenta per tutti. Se invece tutti sono in ristrettezze, il Paese va in recessione.

La ricchezza infatti, contrariamente a quanto pensa la gente, ha tendenza ad espandersi. Cioè a riflettersi sui non-ricchi. L’imprenditore che fa grandi profitti è felice di allargare l’azienda, di creare filiali, di esportare, e tutto ciò richiede forza lavoro, macchine per produrre, trasporti per recapitare le merci, e via di seguito. Tutte cose che rilanciano l’economia. Ma il motore del fenomeno è il profitto dell’imprenditore. Se glielo sottraiamo, o glielo rendiamo marginale, il risultato è che quell’imprenditore non aprirà una fabbrica e, avendo denaro, cercherà di ricavarne qualcosa investendolo, piuttosto che creando un’attività produttiva. Per questo si parla di “finanziarizzazione dell’economia”. Se riesce, si arriva al denaro che partorisce denaro, ma niente di concreto. Niente per il popolo che vorrebbe un lavoro.

La conclusione – banale – è sempre la stessa. L’economia non si rimette in moto con gli investimenti di Stato. Ci si è provato per decenni e la cosa ci ha portati dove siamo. Finché si continuerà a pensare che la vita del Paese debba essere diretta dai Dulcamara economici dello Stato, saremo nella miseria.

Forse è questo che intendeva Ricolfi scrivendo che “nessuno ha un’idea praticabile”. Perché l’idea giusta è quella della convenienza d’intraprendere, ma in Italia questa non è un’idea praticabile.

pardonuovo.myblog.it

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deficit debito





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