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Economia
Ilva, Piaggio Aerospace e Perugina ed Ericcson. Ecco l'eredità di Calenda

Il 4 marzo si avvicina, in un clima sempre più surreale in cui abbondano le promesse elettorali senza alcun riscontro con la realtà più che ipotesi concrete su come ridurre il peso del debito pubblico, abbassare il gioco fiscale su imprese e cittadini e rilanciare un mercato del lavoro asfittico. Ma dal 5 marzo la realtà tornerà a presentare il conto e chiunque si siederà al posto di Carlo Calenda troverà una lunga lista di situazioni di crisi a cui cercare di trovare soluzione.

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Sul tavolo del Ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) sono già arrivate richieste per migliaia di esuberi ed altre potrebbero aggiungersi a breve. In casa Alitalia, dove pure tra tagli e scorpori nell’ultimo ventennio i dipendenti sono già calati da 20 mila a 11.600 (solo il 10% rappresentato da piloti, a fronte di una flotta ridottasi a 121 aeromobili), 1.800 dei quali attualmente in cassa integrazione, l’ipotesi Lufthansa fa tremare i polsi. I tedeschi hanno infatti fatto sapere di essere interessati ad acquistare, a prezzi di saldo, non più di un centinaio di aerei e metà dei dipendenti, previa riduzione di almeno 2 mila unità e non essendo peraltro interessati alle attività di handling (a cui fanno capo ad oggi oltre 6 mila addetti).

Possibile, in alternativa, un’offerta di Air France, magari in cordata con EasyJet e Delta, ma al momento un impegno vincolante, semplicemente, non c’è. Sempre in ambito aeronautico, Piaggio Aerospace, in crisi da anni e ormai controllato dal fondo di Abu Dhabi Mubadala, ha confermato di voler iniettare 255 milioni di liquidità e il riacquisto di tutto il debito in mano alle banche, ma anche di voler cedere le attività relative a motori e manutenzione civile, in cui sono impiegati 1.200 addetti di cui 116 in cassa integrazione e con un’indicazione di 132 esuberi formulata già un anno e mezzo fa. Mubadala ha anche provato a vendere al veicolo finanziario PAC Investment (dietro il quale potrebbero esserci i cinesi di Hna Aviation) il ramo d’azienda Evo, cui fa capo il reparto di ricerca e sviluppo, progettazione e fabbricazione degli aerei civili P-180, ma il governo ha usato il golden power ritenendola un’attività strategica.

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A Piazza Affari non si esclude che la soluzione passi per un intervento di Leonardo, ma in che termini possa concretizzarsi resta tutto da stabilire. Tutti altri numeri rischiano di arrivare da Telecom Italia: secondo le ultime indiscrezioni di fonte sindacale il nuovo piano industriale 2018-2020 dell’ex monopolista telefonico italiano, controllato dalla francese Vivendi, potrebbe coinvolgere 11 mila lavoratori (un quinto del totale), con 7.500 esuberi (si ipotizzano uscite su base volontaria, quindi incentivate) e 3.500 riconversioni interne. Qualche schiarita potrebbe arrivare invece dall’Ilva: in questi giorni l’indiana Arcelor Mittal, che controlla il gruppo, ha riconosciuto la validità dell’accordo di programma sottoscritto nel 2005 per il sito di Genova che prevedeva, in cambio della concessione per 60 anni di un’area di 1 milione e 100 mila metri quadri, il mantenimento dei 1.500 addetti.

Potrebbero dunque rientrare, ma il condizionale resta d’obbligo, la richiesta di 600 esuberi avanzata in un primo momento. Non così semplice sembra il confronto per gli altri siti del gruppo, a partire da Taranto, per i quali sono previsti ulteriori 3.500 esuberi, in parte assorbibili dalle attività di attuazione del piano ambientale, in parte destinati a finire in cassa integrazione straordinarie e poi, forse, prepensionati. Altra crisi in cerca di soluzione resta quella di Perugina (marchio controllato dalla svizzera Nestlè), dove 364 esuberi potrebbero essere ripartiti su base volontaria (quindi incentivata) in 150 part-time, 3 ricollocazioni interne, 80 ricollocazioni esterne e 54 uscite.

Resterebbero da definire le ultime 77 posizioni: saranno licenziamenti, cassa integrazione o prepensionamenti? E poi ancora: Ericcson (600 esuberi ufficiali, ma per i sindacati sono coinvolti un migliaio di lavoratori in tutto), Whirpool (cessata produzione alla Embraco, nel torinese, con quasi 500 licenziamenti annunciati, ma il conto a fine anno dovrebbe salire a 1.350 esuberi complessivi in tutto il gruppo in Italia), Unicoop Tirreno (481 esuberi “full time”, ma visto l’ampio ricorso al part time la vertenza riguarda circa 600 addetti), Honeywell (che a novembre ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Atessa, dove lavorano 420 addetti).

 

Tags:
crisi aziendali italiane





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