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Economia
Ilva, Pm confermano la tesi di Conte: lo scudo? Una scusa. Via per recessione

La vera causa della disdetta di ArcelorMittal del contratto di affitto dell'ex Ilva non e' l'abrogazione dello scudo penale ma 'la crisi di impresa di ArcelorMittal Italia e la conseguente volontà di disimpegno dell'imprenditore estero”. Anche i pm di Milano confermano la tesi del governo Conte sulla crisi dello stabilimento tarantino dovuto al passo indietro del colosso dell’acciaio franco-indiano.

Nel ricorso depositato a sostegno di quello dei commissari Ilva nel procedimento contro ArcelorMittal, i magistrati definiscono infatti “strumentale” l'uso del recesso sulla base del fatto che lo scudo penale è stato eliminato e ritengono che le azioni di ArcelorMittal possano arrecare un danno grave e irreparabile alla continuità aziendale dell'Ilva.

 

Nell'atto, i Pm di Milano scrivono che sono gli stessi dirigenti dell'ex Ilva a svelare il "bluff di Arcelor Mittal". 
A confermare la grave crisi del colosso è il direttore generale della ex Ilva, Claudio Sforza, sentito come teste dai pm di Milano. "Gli elementi sullo stato di crisi dell'affittuaria in mio possesso - spiega - derivano anche dalla conoscenza personale. Infatti in più riunioni tenute da settembre a oggi, sia il precedente ad Mathieu Jehl, sia il nuovo ad Lucia Morselli, hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all'operazione".

L'ad di Arcelor Mittal Lucia Morselli "ha dichiarato ufficialmente" in un incontro "ai primi di novembre" con "i dirigenti e i quadri" che erano stati fermati "gli ordini, cessando di vendere ai clienti". In un un altro passaggio di un verbale di un dirigente di ArcelorMittal sentito lo scorso 19 novembre dai pm di Milano e riportato nel loro atto di costituzione nel contenzioso civile tra l'ex Ilva e il gruppo franco indiano. Atto con cui aderiscono alla richiesta dei commissari.

Ancora. "Nella prima riunione di febbraio del 2019, i manager esteri sostenevano che per l'attuale 'marcia degli impianti' (vale a dire la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio), la qualità delle materie prime fosse troppo alta e occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbatterne i costi".

Il testimone racconta: "i manager stranieri ricordo che furono molto critici sulla gestione, in quanto ritenevano che i costi industriali fissi (manodopera, manutenzione) e variabili (materie prime) fossero molto alti. Le critiche erano indirizzate soprattutto all'ad Jehl e alla direzione dello stabilimento di Taranto (retto da Van Campe), entrambi uomini Arcelor Mittal'".

I magistrati, che hanno aperto un fascicolo sul caso, hanno deciso di intervenire nel procedimento civile e si sono associati alle richieste dei commissari, che nel ricorso d'urgenza hanno chiesto al gruppo franco-indiano di rispettare gli impegni presi con il contratto d'affitto del ramo d'azienda, visto che non sussisterebbero le condizione per chiedere il recesso dal contratto d'affitto, preliminare all'acquisto dell'ex Ilva.



Il ricorso dei commissari è arrivato dopo l'atto di citazione depositato da ArcelorMittal, con il quale il colosso dell'acciaio chiede di veder riconosciuto il suo diritto a recedere dal contratto e in ogni caso di dichiararlo nullo, in quanto non ci sono più le condizioni per portare avanti l'operazione. 



I commissari sono intervenuti con un ricorso d'urgenza per bloccare i possibili effetti negativi del disimpegno di ArcelorMittal dallo stabilimento di Taranto. Il giudice del tribunale civile Claudio Marangoni, cui sono stati affidati sia la causa intentata da ArcelorMittal sia il ricorso d'urgenza, lunedì scorso ha fissato per il 27 novembre una udienza per la discussione tra le parti, invitando nel frattempo il gruppo franco-indiano a non procedere con azioni potenzialmente lesive per gli asset ex Ilva.

 

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