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Economia
Industria, il 6% del Pil e 250 mila tute blu: bomba auto sul tavolo di Conte

Cercare di evitare l’incremento dell’Iva dal primo gennaio del prossimo anno, recuperando 23 miliardi di euro di coperture, certo. Ma l’emergenza a cui dovrà dedicarsi subito dopo, o verosimilmente in parallelo, il governo Conte-bis riguarda l’occupazione, in particolare quella del settore industriale e dell’auto in particolare, alle prese col rallentamento della domanda interna e dei principali mercati di sbocco, a partire dalla Germania.

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In questo ambito la conferma dello scorporo, da completare entro il 2021, di Cnh Industrial in due distinte entità, entrambe quotate, focalizzate l’una sulle macchine agricole con le due controllate Case e New Holland, l’altra sui camion e autobus di Iveco e ui motori di Powertrain, non fa che aumentare l’incertezza e i timori, specie da parte dei sindacati ma evidentemente anche della politica, che alla fine siano a rischio ulteriori punti di Pil e posti di lavoro.

Anche perché nel frattempo sono pure riprese a circolare indiscrezioni che vogliono ripartite le trattative tra Fiat Chrysler Automobiles e Renault per superare i punti di disaccordo che finora hanno impedito di dar vita a un matrimonio a due, destinato in un futuro ad allargarsi anche a Nissan, già partner strategico del gruppo francese.

Che il tema sia strategico per il Paese lo dimostrano i numeri: in Italia il settore automotive, forte di 5 mila aziende, fatturava nel 2015 (ultimo dato disponibile) 93 miliardi di euro l’anno, pari al 5,6% del Pil, e dà lavoro a 250 mila persone (il 7% degli addetti del settore manifatturiero), 188mila dei quali dipendenti di aziende a controllo nazionale, mentre la componentistica vale altri 46,5 miliardi (un ulteriore 3% del Pil), di cui 21,2 miliardi legati all’export.

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Di questi 4 miliardi arrivano solo dalla Germania, mercato che pesa quasi un quinto dell’export totale, vale a dire poco meno del doppio della Francia, 2,4 volte la Spagna, 2,7 volte la Gran Bretagna e oltre 3 volte Polonia, Turchia e Stati Uniti. Fino ad ora l'indotto automotive tricolore ha retto il calo produttivo di Fca grazie alla domanda estera proveniente dai colossi delle quattroruote tedeschi. 

Ora, i vistosi segnali di rallentamento economico che arrivano dalla Germania, in cui l'industria delle quattroruote costituisce il motore della locomotiva d'Europa e le tensioni commerciali rischiano dunque far saltare alcune aziende della componentistica e di portare a dolorose scelte di razionalizzazione nel caso di future integrazioni vuoi delle due nuove entità in cui si scinderà Cnh Industrial, vuoi della stessa Fca.

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A rischio potrebbero essere gli stabilimenti maggiormente presenti in Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna per quanto riguarda la produzione automobilistica, mentre al Sud, salvo poche eccezioni come in Campania, è maggiore la presenza di aziende di componentistica “a bordo stabilimento” o in aree vicine agli impianti di assemblaggio.  Scenario che ha spinto la Fiom, il principale sindacato delle tute blu italiane, a chiedere al nascituro governo Conte l'apertura immediata di un tavolo sulle prospettive del setttore automotive

Chi si mostra fiduciosa della scelta intrapresa, ma non potrebbe essere diversamente, è Suzanne Heywood, presidente di Cnh Industrial, che in una nota sottolinea la “ambiziosa strategia” delineata dal piano industriale 2020-2024 e tesa a “creare due leader globali” che “sulla base di un accresciuto focus manageriale” accelereranno i rispettivi processi di innovazione, saranno “più agili in termini di pensiero strategico e parteciperanno attivamente al processo di consolidamento di settore”. 

(Segue...)

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