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Economia
Innovazione ed export, ecco la strada per sviluppare le filiere al Sud

Il 43,6% del valore aggiunto manifatturiero nel Mezzogiorno è generato dalle filiere Alimentare, Aeronautico, Automotive, Abbigliamento-Moda e Farmaceutico. Si tratta di 12,7 miliardi di euro, il cui peso sul dato nazionale supera quello medio manifatturiero: 17,2% contro 12,3%. L’export di tali produzioni è di 20,6 miliardi, il 13,5% dell’export nazionale, mentre si contano inoltre oltre 49mila imprese, pari 33% dell’Italia e oltre 217mila addetti, il 19,1% del dato nazionale. Secondo la ricerca realizzata da Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) dal titolo “Il valore delle filiere produttive nel nuovo contesto competitivo e innovativo, tra Industria 4.0 e Circular economy”, che sarà presentato oggi a Napoli, le cinque filiere meridionali citate hanno un peso di rilievo anche nel commercio manifatturiero interregionale: il 45% per export ed il 48,4% per import. Sono inoltre filiere lunghe che si sviluppano da Nord a Sud e per effetto delle interdipendenze di filiera, 100 euro di investimento in questi 5 settori producono un effetto a cascata su tutta l’economia nazionale di 580 euro, con un moltiplicatore quindi pari a 5,8. L’indagine rileva inoltre che oltre 10mila imprese con più di dieci addetti nel Mezzogiorno hanno fatto investimenti in innovazione ed hanno parametri che le rendono quindi innovative. Queste imprese sono più concentrate rispetto alla media nazionale nell’Internet of Things (10,2% contro 9,9%), nelle vendite on line (11,9% contro 11,4%) e dei Big Data Analytics (6% contro 4,9%), settori nei quali il Mezzogiorno spicca per qualità innovativa. Infine, il nuovo paradigma dell’Economia Circolare, basato sul riutilizzo nel ciclo produttivo di scarti e rifiuti industriali, sarebbe particolarmente adatto allo sviluppo di un’industria nel Mezzogiorno capace di integrare crescita economica e ambiente. L’industria del riciclo in Italia produce 12,6 miliardi di euro di valore aggiunto, circa l’1% dell’intero Pil italiano.

Rilevanti anche gli effetti moltiplicativi generati dalle cinque filiere.

Lo studio mette in evidenza che tutti i settori nel Mezzogiorno attivano un effetto endogeno abbastanza significativo, benché inferiore rispetto alla media italiana. È soprattutto l’alimentare che presenta l’effetto endogeno più alto (100 euro investiti nell’alimentare ne attivano altri 149 all’interno della regione) e superiore al manifatturiero. Anche l’Automotive riesce ad attivare un valore aggiunto superiore al Manifatturiero (117 euro). L’Abbigliamento, è in linea con il manifatturiero (70 euro). Si tratta di settori che benché molto diversi tra loro risultano ben strutturati e connessi in filiera anche all’interno della propria area nonché con altri settori interrelati. Valori più bassi si osservano per Aeronautico (32 euro) e Farmaceutico (42%) che per loro natura sono all’interno di filiere più lunghe ed internazionali.

Per quanto riguarda la componente esogena, ossia la capacità di attivare valore aggiunto all’esterno dell’area, questa è molto elevata e ciò implica un Mezzogiorno molto attivo nella fornitura di prodotti e semilavorati all’interno della filiera nazionale. In particolare per ogni 100 euro di investimento l’effetto spillover è molto alto nel Farmaceutico (429 euro) dove l’area è connessa a filiere lunghe anche estere, nell’Alimentare (362), nell’Automotive (341) e nell’Abbigliamento (320). Ridotto è l’effetto spillover dell’Aeronautico (36 euro) che pur se inserito in una filiera globale ha nel territorio una sua specifica specializzazione.  

Per Massimo Deandreis, direttore generale di Srm, “ l’obiettivo della ricerca è conoscere e far conoscere il valore delle principali filiere produttive del Mezzogiorno e riconoscere la loro forza connettiva tra il Nord ed il Sud del Paese. Dai dati emerge infatti non solo il valore e la presenza significativa di queste filiere nel Mezzogiorno ma anche l’interdipendenza esistente e il contributo che esse forniscono alla competitività del nostro Paese. Un Sud, quindi, che sa innovare, produrre e nel quale esistono grandi eccellenze. Da qui emerge un messaggio positivo che può contribuire a ridare fiducia, anche per attrarre nuovi investimenti e valorizzare la voglia di fare impresa”.

“Lo studio -afferma Francesco Guido, direttore generale del Banco di Napoli- ci fornisce la chiara percezione di come le imprese e le dinamiche imprenditoriali si stanno trasformando e orientando verso un nuovo modello competitivo basato su innovazione, dimensione, formazione e internazionalizzazione. In questo contesto il Banco di Napoli ha lanciato il progetto Impresa 2022 con l’obiettivo di contribuire con la collaborazione attiva delle nostre realtà imprenditoriali a definire un percorso di crescita dell’intero tessuto produttivo. Il Banco di Napoli vuole in questo modo fattivamente impegnarsi a sostenere le imprese in questo percorso che, come dimostrano i dati, è anche la via per un migliore merito di credito e un più forte legame tra banca e imprese”.

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