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Economia
Italia - Europa. Emergono le contraddizioni di fondo, in un momento difficile
Intervista a Giampaolo Berni FerrettiFabrizio Pacchiarotti e Danilo Vitali

Nell'articolo pubblicato la scorsa settimana dicevamo che l’Europa è ad un punto di svolta e che la crisi finanziaria ed economica ha fatto emergere le sue contraddizioni di fondo.

Sono stati numerosi i commenti a favore o contro quello che avevemo evidenziato, e in generale su alcune posizioni assunte in questi giorni dai politici italiani. E citavamo Mauro Magatti del Corriere della Sera: "La democrazia vive se riesce a creare benessere. Il neoliberismo ha interpretato questo compito nei termini di un aumento delle possibilità individuali di scelta. In un sistema a possibilità crescenti (quello nato dalla combinazione tra globalizzazione e finanziarizzazione), un’idea vincente. È l’incepparsi di questa dinamica che, a partire dal 2008, ci ha fatto entrare in un’altra epoca storica".

Intervistiamo oggi Giampaolo Berni Ferretti, consigliere e responsabile politico di Forza Italia del Municipio 1 di Milano, Fabrizio Pacchiarotti e Danilo Vitali.

Quale dovrebbe essere il ruolo della politica nel recuperare questi valori? E quale ruolo dovrebbe essere affidato alle istituzioni europee?

giampaolo berni ferrettiGiampaolo Berni Ferretti

Berni Ferretti: "Mah io parlerei piuttosto quali sono le opportunità che possono essere colte dal nostro Paese in Europa. L’Italia è un grande Paese industriale, il secondo in Europa per valore aggiunto manifatturiero e uno tra i principali al mondo. Le imprese industriali italiane rappresentano il motore del cambiamento e dello sviluppo economico, con la loro capacità di produrre innovazione, di stimolare il nostro export, di alimentare l’indotto e le attività dei servizi, contribuire alla creazione di occupazione e ricchezza, alla stabilità economico-finanziaria e alla coesione sociale."

Allora lasciamo da parte le polemiche e parliamo di innovazione digitale

"Con l’avvento della cosiddetta quarta rivoluzione industriale grazie alla diffusione di nuove tecnologie (digitali e non), il comparto industriale sta vivendo una profonda trasformazione dei meccanismi attraverso cui ha storicamente prodotto valore, innovazione e benessere (Agenzia delle Entrate, circolare n. 4/E del 30 marzo 2017). 
Le rivoluzioni industriali hanno sempre comportato effetti evolutivi talora persino dirompenti sulla produttività. Schematizzando si può affermare che con la prima rivoluzione la tecnologia ha moltiplicato la forza: la produzione si sgancia dalla forza fisica, umana o animale. Con la seconda, la tecnologia moltiplica la scala: l’energia elettrica allarga le dimensioni dei mercati e mette a disposizione un’energia che può essere facilmente trasportata. La terza rivoluzione industriale si è avuta grazie a tecnologie che moltiplicano la velocità: le informazioni possono essere processate e gestite in modo più rapido. Ogni rivoluzione ha generato conseguenti cambiamenti organizzativi che, a loro volta, hanno determinato guadagni di efficienza e di ricchezza".

E la quarta rivoluzione industriale?

"La quarta rivoluzione industriale, resa possibile dalla disponibilità di sensori e di connessioni a basso costo, si associa a un impiego sempre più pervasivo di dati e informazioni, di tecnologie computazionali e di analisi dei dati, di nuovi materiali, macchine, componenti e sistemi automatizzati, digitalizzati e connessi (internet of things and machines)".

Chiediamo un ulteriore approfondimento all’avvocato Fabrizio Pacchiarotti.

Fabrizio PacchiarottiAvv. Fabrizio Pacchiarotti

"La quarta rivoluzione non investe solo il processo produttivo, la sua efficienza e produttività ma anche, grazie all’accresciuta capacità di interconnettere e far cooperare tutte le risorse produttive (asset fisici e persone, sia all’interno che all’esterno della fabbrica), e allo sfruttamento di un nuovo fattore produttivo ovvero i dati e le informazioni, sta trasformando il funzionamento di intere catene del valore, consentendo una crescente integrazione dell’impresa con le reti di fornitura e sub fornitura a monte e i clienti, intermedi e finali, a valle, abilitando infine una rivisitazione anche profonda dei modelli di business e degli approcci al mercato".

A quali tecnologie si riferisce, in particolare?

"Le tecnologie abilitanti il paradigma 4.0 sono molteplici, sintetizzabili in tre ambiti: 1. Disponibilità di dati digitali e analitica dei Big Data: l’elaborazione e l’analisi di quantità enormi di dati (big data) a costi sempre più bassi (sensoristica a basso costo e cloud computing) permette decisioni e previsioni migliori su produzione e consumi basate anche sull’utilizzo di strumenti di virtualizzazione del processo produttivo, prototipazione rapida e intelligenza artificiale; 2. Robotica e automazione avanzata: nuove possibilità di interazione complessa uomo-macchina permettono una riduzione degli errori, dei tempi e dei costi e un miglioramento della sicurezza dei processi anche attraverso la nuova manifattura additiva; 3. Connettività spinta: l’intera catena del valore è interconnessa attraverso dispositivi e sensoristica intelligente (internet of things) utilizzando reti di connessione di nuova generazione. Le nuove tecnologie sono già in larga parte disponibili e presenti nelle imprese, ma attualmente la loro applicazione è ancora limitata e sporadica, essendo concentrata prevalentemente sul controllo di processo industriale destinato alla produzione massiva dei componenti (macchine a controllo numerico), integrato con la robotica solo in determinati ambienti, con applicazioni limitate alla ripetizione della stessa azione o mansione e al controllo in remoto dell’efficienza operativa dei macchinari".

Qual'è la trasformazione in corso?

"Con la trasformazione in chiave 4.0 è invece possibile gestire vere e proprie reti che incorporano, integrano e mettono in comunicazione macchinari, impianti e strutture produttive, sistemi di logistica e magazzinaggio, canali di distribuzione. Attraverso la trasformazione digitale – e con il ricorso a sistemi di produzione cyber-fisici – i siti produttivi sono in grado di reagire più rapidamente, quasi in tempo reale, alle variazione della domanda, delle specifiche di prodotto, dei flussi di approvvigionamento delle materie prime ottimizzando i processi di trasformazione, riducendo gli errori e i difetti, migliorando il time to market e assicurando flessibilità, velocità e precisione".

Ci saranno ricadute positive?

"Le ricadute in termini di recupero di produttività possono essere significative restituendo nuova competitività a settori produttivi e nicchie manifatturiere che diversamente avrebbero serie difficoltà nel competere con sistemi a basso costo del lavoro, consentendo persino fenomeni di re-shoring di produzioni un tempo delocalizzate. Come detto, l’ambito di Industria 4.0 travalica la singola impresa così come travalica il singolo macchinario. L’innovazione 4.0 non sta nell’introdurre un macchinario all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma nel sapere combinare diverse tecnologie e in tal modo integrare il sistema di fabbrica e le filiere produttive in modo da renderle un sistema integrato, connesso in cui macchine, persone e sistemi informativi collaborano fra loro per realizzare prodotti più intelligenti, servizi più intelligenti e ambienti di lavoro più intelligenti".

E' la famosa "fabbrica intelligente?

"Non si tratta solo di costruire la “fabbrica intelligente”, ma vengono interconnesse intere catene del valore e filiere produttive, si crea così una forte integrazione delle catene di fornitura e subfornitura. Diventano centrali elementi che prima avevano un ruolo passivo, si modifica il ruolo del consumatore-utilizzatore: l’analisi dei bisogni individuali acquisisce rilevanza sempre maggiore, così come la capacità di soddisfare la domanda attraverso la mass customisation (personalizzazione di massa) dei prodotti. Diventa possibile variare la modalità di produzione coerentemente con le variazioni di domanda o di tipologia di prodotto, in una logica di modularità e ri-configurabilità continua. Si hanno impatti significativi in termini di sostenibilità, in particolare con riferimento agli aspetti legati alla sicurezza del posto di lavoro, all’ottimizzazione dei consumi delle risorse energetiche e non energetiche, a modelli di produzione di natura circolare per ridurre sfridi, scarti e rifiuti (produzioni a difettosità zero) e favorire il riciclo/riutilizzo dei materiali e delle materie prime seconde".

Poste queste premesse è normale chiedersi quali caratteristiche deve avere il bacino economico italiano del prossimo millennio per gestire l'accelerazione del cambiamento e lo squilibrio dettato dai nuovi paradossi. Chiediamo a Berni Ferretti: come sfruttare queste nuove opportunità di sviluppo?

Berni Ferretti: "Ma sicuramente rivedere profondamente il rapporto tra Istituzioni (Stato) e cittadini.  L’Italia è un Paese che ha bisogno di una radicale rivoluzione liberale. La rivoluzione per la quale lottiamo dovrà essere non solo un fatto sociale, ma un grade fatto morale. Una catarsi, una purificazione di popolo. Che si possa dire: 'Ecco fin qui fummo vili, deboli e meschini. Ma da qui comincia la nuova storia' (Carlo Rosselli, Osceno Ansaldo, originariamente in Giustizia e Libertà del 20 settembre 1935, ora in Scritti dell’Esilio, cap. II, p. 216.). Mi riferisco al rapporto tra lo Stato ed i cittadini in materia fiscale, allo Stato Apparato (La Burocrazia) che per noi è eccessivo ed ai correttivi da apporre con urgenza alle nuove normative in tema di diritto del Lavoro".

Chiediamo allora un approfondimento all’avv. Pacchiarotti sul tema della tassazione

"Già sul finire degli anni ’50 del secolo scorso, Jacques Pirenne, gigante del pensiero liberale del novecento, metteva in guardia dalla minaccia al liberalismo rappresentata “dal fiscalismo e dal dirigismo statale”. In altri termini tassazione e burocrazia, quali nemici del cittadino e freno allo sviluppo economico". Citiamo Jacques Pirenne:

“Il pericolo dello statalismo non è scomparso col ripudio della politica di nazionalizzazioni e dell’ideologia dirigista. Sopravvive – forse nel suo aspetto più temibile per l’individualismo – nei metodi dell’amministrazione pubblica che allarga sempre di più la sua attività. La concentrazione amministrativa costituisce un pericolo in sé, perché aumenta, in proporzioni inquietanti, le spese dello Stato. Lo Stato in tutti i paesi occidentali persegue una polita di prestigio. Gli uffici statali prendono l’aspetto di veri palazzi, il cui numero si accresce con una stupefacente rapidità. L’amministrazione pubblica è stata creata per far fronte ai servizi pubblici. Sempre più stessa viene chiamata a dirigere vere imprese di carattere economico e sociale. I vecchi metodi non possono soddisfare i nuovi bisogni. I servizi di trasmissione o di controllo contano quasi altrettanti impiegati dei servizi incaricati delle realizzazioni. Ne risulta un’enorme dispersione di energie, di tempo e di ricchezza. È una verità irrefutabile che l’amministrazione pubblica, per effettuare il medesimo lavoro di un’organizzazione privata, ha bisogno di maggior tempo, di più numeroso personale, di maggiori capitali. L’amministrazione pubblica che non cessa di svilupparsi per l’organizzazione di servizi sempre nuovi, regie economiche, società miste, assicurazioni sociali, grava sempre più sulle pubbliche finanze. Per far fronte a queste spese bisogna ricorrere al fiscalismo. Questo forma sempre più, negli stati occidentali, una forza immensa, distinta dallo Stato, che dà vita ad un nuovo diritto, che costituisce una delle più serie minacce contro il diritto individuale per il quale la civiltà occidentale si è sviluppata.

Per il fisco il cittadino non ha altra ragione d’essere che quella di fornire introiti allo Stato. Il fisco considera il contribuente quasi come un tempo il signore considerava il servo. La concezione individualista, che voleva che l’amministrazione dello Stato fosse al servizio del cittadino, ha dato luogo ad una concezione nuova che fa ogni cittadino, non appena egli agisce, un «funzionario» su cui lo Stato ha diritto di esercitare un controllo, e che il fisco considera volentieri come un probabile delinquente. Inoltre l’ideale della solidarietà su cui si fonda la nozione liberale della società è abbandonata per quella della subordinazione dell’individuo, non allo Stato, ma ai servizi amministrativi, e in primo luogo al fisco. Il minimo gesto è sorvegliato dal fisco. Se un cittadino compra una casa, il fisco s’inquieta: donde gli son venuti i fondi che gli permettono una simile spesa? Non ha forse frodato il fisco? Se un artigiano assume un operaio, il fisco interviene per discutere l’ammontare degli introiti che egli dichiara. Ogni iniziativa deve immediatamente divenire oggetto di denunzie fiscali. Ogni guadagno prodotto dal lavoro è tassato, e il tasso dell’imposta si eleva progressivamente col reddito del lavoro. Questo significa che più si lavora, più si è tassati dal fisco. Ogni lavoratore indipendente deve, in media, consegnare al fisco un terzo dei proventi del suo lavoro. Più lavora, più paga; lo Stato prenderà la metà, o anche di più, dei redditi del suo lavoro. Il risultato è che. Stanco di lavorare quattro o anche sei mesi all’anno per lo Stato, il lavoratore limita il suo sforzo che, al di là di un certo livello, è sproporzionato ai benefici che ne ritrae” (Jacques Pirenne - Storia del mondo contemporaneo).

"Orbene - prosegue l’avv. Pacchiarotti - laddove si ponga mente alla situazione attuale italiana, leggere da Pirenne che il cittadino dovrà lavorare “quattro o anche sei mesi all’anno per lo Stato” affinché far fronte alle richieste del fisco, suona profetico. Su base nazionale, infatti, il “tax free day” per i cittadini italiani è il 20 giugno. Analisi indipendenti hanno calcolato che nel 2017 una famiglia media, avente un reddito annuale di 50 mila euro, dovrà lavorare ben 170 giorni per pagare i principali oneri fiscali e contributivi. E, più in dettaglio, ben 13 dei complessivi 170 giorni necessari per finanziare il peso della tassazione, sono destinati alle imposte locali (Ufficio Studi CGIA di Mestre). Questi dati sintetici sono già di per sé sufficienti per accertare come nel coacervo della fiscalità che grava sui cittadini, le imposte locali stanno assumendo sempre maggiore importanza."

Può darci qualche dettaglio?

"La variazione delle entrate tributarie nel periodo gennaio 2016 – gennaio 2017 conferma il trend di crescita della pressione fiscale locale poiché il gettito da riferire agli enti territoriali è cresciuto percentualmente in misura maggiore rispetto a quello erariale. Come infatti emerge dai dati forniti dal MEF, se le entrate erariali sono aumentate nella misura dell’1,88%, nello stesso arco temporale, quelle degli enti territoriali sono cresciute del 7,60% (www1.finanze.gov.it/finanze2/ entrate_tributarie)".

E' così anche nella città di Milano?

"Anche Milano non sfugge alla medesima linea di tendenza nazionale che vede oramai consolidarsi il sempre maggior peso dei tributi locali nell’ambito del complessivo ordinamento tributario. Anzi, se si analizzano i dati dell’andamento del gettito dell’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), Milano è saldamente in testa alla classifica delle città capoluogo di regione che ne hanno visto il maggior incremento percentuale: tra il 2010 e il 2014, infatti, la variazione nel gettito dell’aliquota addizionale comunale IRPEF per abitante è stata pari a + 450% (Corriere della Sera, 11 aprile 2016). Ma ancora più sconfortanti per Milano sono le risultanze che emergono dal rapporto redatto per il 2016 dall’osservatorio permanente sulla tassazione delle piccole imprese in Italia istituito presso il centro studi della CNA - Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Italiana (www.cna.it/centro-studi/osservatori)."

Un quadro un po' sconfortante

"All’esito di queste analisi, infatti, risulta che il “total tax rate” gravante su un’impresa tipo di Milano è pari a ben il 61,8%. Orbene, volendo sintetizzare le risultanze dello studio condotto dalla CNA, alla piccola impresa milanese, su base annuale, occorrono 226 giorni di lavoro per pagare il fisco e solo i restanti 139 giorni sono destinati a produrre reddito per il sostentamento della propria famiglia. Questi dati stanno dunque a dimostrare che la profezia di Pirenne, nella parte in cui individuava in “quattro o anche sei mesi all’anno” il tempo di lavoro da destinarsi al fisco, si sia rivelata ottimistica per Milano, poiché il “tax free day” per un’impresa tipo è, in realtà, il 13 agosto". 

E' ancora sostenibile questa situazione?

"Ora, il quadro complessivo che ne viene fuori denota come oramai il sistema fiscale italiano costituisca un freno, una vera e propria zavorra, non più sostenibile per il sistema economico e sociale. La sua straordinaria complessità, fonte di sempre maggiori incertezze, non solo per i cittadini-contribuenti, ma anche per gli operatori del settore, ivi inclusi gli stessi esponenti dell’amministrazione finanziaria chiamati quotidianamente a dare concreta applicazione a norme mai chiare e che repentinamente si succedono nel tempo. Il peso eccessivo della fiscalità, tanto per le imprese, quanto per le famiglie. La sua strutturale inefficienza e, come se non bastasse, la sua limitata portata redistributiva: non riusciamo ad aiutare chi davvero è rimasto indietro, come dimostrano i dati sempre più preoccupanti sulla diffusione della povertà".

Si può fare qualcosa?

"È finito il tempo dei proclami. Sarebbe deleterio ed imperdonabile tergiversare oltre. Bisogna trovare il coraggio di cambiare, lasciandosi alle spalle stagioni di politiche tributarie il cui comune denominatore è stata l’assenza di un disegno o, più precisamente, il disinteresse verso un qualsivoglia disegno. Ben vengano quindi le proposte di una radicale riforma dell’ordinamento tributario e, prima fra tutte, l’introduzione di una “flat tax”, un’imposta piatta uguale per tutti, imprese e famiglie, al livello più basso possibile, individuando una fascia di reddito esente da tassazione, così da rispettare il principio costituzionale della progressività. Il prelievo unico, infatti, rappresenta oramai una realtà diffusa in gran parte dei Paesi dell’est Europa, sulla base di aliquote d’imposta che variano tra il 10% (Bulgaria) ed il 23% (Albania e Lettonia)".

Cè già qualche esempio nella legislazione italiana?

Anche nel vigente sistema tributario italiano non mancano esempi di imposizione unica, senza distinguo di percettore e/o di aliquota, laddove si pensi alla tassazione sostitutiva dei redditi di capitale, ai redditi da locazione immobiliare, sino alle nuove iniziative professionali. L’impellenza di una sistemica revisione non si avverte solo in relazione al prelievo erariale ma, e certamente non di meno, anche per la fiscalità locale e comunale in particolare. I residenti milanesi sono infatti chiamati a finanziare una massa di servizi pubblici indistinti, dal decoro e pulizia delle strade fino all’illuminazione pubblica, fruiti anche da una molteplicità di categorie le quali invero non concorrono alla relativa spesa. Basti pensare alla moltitudine di pendolari che quotidianamente accedono a Milano nonché a coloro che vi dimorano stabilmente pur non essendovi residenti o che vi si recano in modo episodico al di fuori del canale alberghiero. Chiamare anche costoro a contribuire alle spese per il mantenimento della città, oltre essere coerente con il principio ovvio per cui “chi usufruisce di un bene o di un servizio paga”, consentirebbe di alleggerire la pressione fiscale sui residenti. Andrebbero quindi implementate modalità tali da permettere un allargamento della platea soggettiva delle “tariffe” comunali, anche mutuando il meccanismo che sta alla base della “tassa di soggiorno”.

I prossimi passi?

Occorre in sintesi un’ampia riflessione sul sistema tributario statale e comunale, non solo allo scopo di fuggire dallo scenario paventato da Pirenne laddove scriveva che “il fisco considera il contribuente quasi come un tempo il signore considerava il servo”, ma altresì rimuovere quegli aspetti della tassazione che, insieme alla burocrazia, rappresentano un freno al pieno dispiegarsi delle potenzialità di crescita del Paese. Anzi, trasformare la fiscalità locale e la burocrazia da ostacolo a leva per un maggiore sviluppo civile ed economico della città, affinché rendere Milano maggiormente captive per gli investimenti e rafforzarne la leadership nazionale ed europea di incubatore di idee ed iniziative. E bisogna trovare il coraggio di farlo perché “ogni idea astratta deve trasformarsi in un’idea concreta; ciò che ogni idea perde in bellezza, lo acquista in utilità; viene rimpicciolita, ma è più efficace” (Victor Hugo, Il Novantatré, 1874)"

Torniamo a porre qualche domanda a Berni Ferretti. Desidera aggiungere qualcosa alle considerazione dell'avv. Pacchiarotti?

“Si, vorrei tornare sul tema della burocrazia. Oggi si ha l’impressione che da un determinato punto in poi la felice spirale di progresso tecnico (sostitutivo del lavoro umano) –creazione di nuove possibilità di lavoro – ulteriore progresso tecnico e così via non funzioni più. Le società del lavoro (per dirla con Hannanh Arendt) non hanno più lavoro. Che fare? I partiti del consenso hanno una sola ricetta: maggiore crescita economica. Oppure: l’affermazione della componente sociale dei diritti civili richiede misure di politica sociale di ogni genere. Occorrono sistemi pensionistici, oppure istituti come il National Health Service o la Cassa per il Mezzogiorno e simili. Ma poiché occorre finanziarli sono necessarie tasse più alte… Gli uomini vengono impersonalmente tenuti al guinzaglio da potenti burocrati e in pari tempo mediante tasse della loro libertà decisionale” (Ralf Dahrendorf, La Libertà che Cambia, Londra 1978, Trad. it. Economica Laterza, 1994, p. 84)". E' un fondamentale bisogno di libertà quello che viene dalla società italiana; è libertà dallo Stato che ha invaso campi che non gli appartengono diventando monopolista e burocratizzatore; è libertà dello Stato di riacquistare la persa legittimità d' intervenire con equità ed efficienza in tutti i campi e nei limiti che una Democrazia Liberale gli impone. Fondamentale bisogno che in noi diventa inquietudine, ansia e bisogno di un rinnovamento radicale".

Come desidera concludere questa intervista?

"Rimane a questo punto analizzare anche gli effetti, i risultati delle recenti riforme in tema di diritto del lavoro: Infatti a seguito di un fenomeno di erosione della base imponibile, in corso da anni e da ritenersi ormai irreversibile, l’IRPEF è diventata, da imposta generale e progressiva su tutti i redditi di un soggetto, un’imposta (fortemente) progressiva solo su due tipi di reddito, cioè quello da lavoro subordinato e quello da pensione. E’ tempo ormai di introdurre una svolta epocale, attraverso la flat-rate tax, che avrà contemporaneamente benefici effetti strutturali sia sulla discriminazione fiscale che sulla competitività".

Ma abbiamo anche un terzo interlocutore. Chiediamo un approfondimento all’avvocato Danilo Vitali in tema di Diritto del Lavoro

Danilo Vitaliavv. Danilo Vitali

"Certamente la stratificazione di anni e anni di produzione di normativa fiscale e tributaria, in assenza di un disegno razionale complessivo, ha prodotto oggi un risultato paradossale: quello per cui il reddito da lavoro subordinato, e quello da pensione (che poi  altro non è che reddito da lavoro postergato), sono i soli che scontano integralmente il peso di un’imposizione fortemente progressiva qual è l’ IRPEF. In altre parole, i due tipi di reddito che la Costituzione ritiene meritevoli di particolari tutele (art. 36 e 38), in quanto prodotti esclusivamente con la fatica della persona e senza ausilio di capitale, sono diventati oggetto di una assurda discriminazione al contrario, essendo nettamente penalizzati sul piano fiscale rispetto ad altre categorie di redditi che invece, per motivi vari, sfuggono all’imposizione dell’IRPEF, e scontano una tassazione con aliquota proporzionale. Il fenomeno, noto come erosione della base imponibile IRPEF, appare ormai come irreversibile, posto che le ragioni che sono state via via addotte per sottrarre diverse categorie di redditi, e in particolare quelli da capitale, alla tassazione progressiva – ci si riferisce soprattutto alla estrema “mobilità” dei medesimi, e alla conseguente necessità di non subire la concorrenza di altri paesi più “attrattivi”- non sembrano lasciare spazio a inversioni di rotta, quantomeno nel breve/medio periodo".

Lei vede qualche soluzione?

"Se così è, l’ unica soluzione ipotizzabile, per porre rimedio alla insostenibile sperequazione, da ritenersi anche fortemente in odore di incostituzionalità, è riportare anche l’ IRPEF nell’ alveo della tassazione sostanzialmente proporzionale, sia pure con qualche piccolo correttivo che ne assicuri la compatibilità con il dettato dell’ art. 53 della Costituzione. Questo è l’unico modo per liberare il lavoro subordinato dal giogo incostituzionale del fisco, ponendo fine a una insostenibile discriminazione, e al tempo stesso incidendo in maniera strutturale, e non meramente estemporanea, sul cuneo fiscale, che ci vede ormai in via stabile attestati su ca 10 punti percentuali in più rispetto alla media OCSE. Dopo di che, questa ventata di libertà dovrà proseguire, liberando il lavoro subordinato anche dalle maglie di una legislazione che lo ha ingabbiato, segmentato e ingessato con anni e anni di produzione normativa caotica e scellerata, e ridando finalmente fiato alla volontà delle parti, sia pure sotto l’egida di qualche clausola generale che ne assicuri la compatibilità con i dettami della costituzione e delle leggi comunitarie fondamentali".

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