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Economia
Iva, stangata da 538 euro a famiglia. I consumi? In calo di 27,5 miliardi

Stangata da circa 1.200 euro annui, che si tradurrà in un calo dei consumi dello 0,7% che equivale a meno 27,5 miliardi, oltre un punto e mezzo di Pil. Sono gli effetti dell’aumento dell’Iva secondo le elaborazioni del Codacons, aumento che se attuato in previsione del meccanismo delle clausole di salvaguardia nel 2020 porterà l'aliquota ordinaria dal 22 al 25,2%, mentre quella ridotta dal 10 salirà al 13%.

A far scattare le simulazioni contabili sull’aumento della pressione fiscale indiretta per il prossimo anno sono state le parole del ministro dell’Economia Giovanni Tria che, in audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul Documento di economia e finanza del governo e sulle iniziative del governo Conte per la crescita, ha spiegato che "la legislazione vigente in materia fiscale è confermata in attesa di definire, nei prossimi mesi, misure alternative”. Che tradotto, significa: l'aumento dell'Iva da 23,1 miliardi legato alle clausole di salvaguardia per il 2020, per il momento, resta lì. Altrimenti senza aumento e compensazioni, come spiegato ieri dalla Banca d'Italia, il deficit salirebbe nel 2019 al 3,4% del prodotto interno lordo

Secondo i calcoli effettuati dal Sole 24 Ore, la tassa che attende ogni famiglia italiana vale in media 538 euro. Ma ci sono categorie che saranno maggiormente tartassati: per liberi professionisti e imprenditori si sale a 857 euro. Non va bene nemmeno ai nuclei famigliari residenti in Lombardia e Trentino Alto Adige (per loro l’aumento si attesterà rispettivamente su 658 e 654 euro).

Mentre la tassa graverebbe meno sulle regioni del Sud. Il quotidiano della Confindustria spiega che il carico, in termini percentuali, sopportato dalle famiglie lombarde e da quelle altoatesine sarebbe identico in Emilia Romagna (628 euro, pari al 2,31% del bilancio domestico) e pressoché allineato in Veneto. Al contrario, il minor impatto – relativo e assoluto – si avrebbe in Calabria (388 euro, il 2,16%), seguita dalla Campania e dalla Basilicata.

A livello di Comune, invece, il conto sarebbe più caro nel centro delle aree metropolitane (570 euro, il 2,3%) e meno elevato nei centri fino a 50 mila abitanti (517 euro, il 2,25%). Le differenze – per quanto poco marcate – dipendono dal diverso mix del paniere di spesa. Soffre di più il rincaro chi acquista maggiormente prodotti con aliquota al 22%, come ad esempio abbigliamento e calzature, ma anche arredi, bibite, vini e liquori.

Al contrario, rimane più protetto chi spende molto per beni tassati al 4%, come pane, frutta e verdura. La clausola di salvaguardia fa lievitare anche l’aliquota al 10%, applicata su un vasto range di prodotti e servizi: dagli alimentari (carne, pesce, miele e dolciumi) ai lavori in casa, dal trasporto locale al tempo libero (ristoranti, cinema, teatri). Ed è proprio il ritocco di quest’ultima aliquota che tende ad appiattire l’effetto tra le diverse tipologie di famiglie.

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