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Economia
Jobs Act, in arrivo nuove regole. Renzi mette mano ai voucher

di Piero Righetti

Sull’efficacia in materia di lotta alla disoccupazione e di aumento dei posti di lavoro degli otto decreti legislativi di cui si compone il Jobs act i pareri sono i più vari e si va infatti dal “grande successo” proclamato dal Governo Renzi – più Renzi, comunque, che Poletti – al “buon successo” sostenuto dalla Confindustria e dalle aziende medio-grandi, al “totale insuccesso” dichiarato da alcuni sindacati e dalle forze politiche di opposizione. A mio avviso è indubbio che l’entrata in vigore del Jobs act abbia concretamente modernizzato il mercato del lavoro italiano adeguandolo almeno in parte a quello dei paesi occidentali più aperti e flessibili e ampliando in maniera significativa il numero delle aziende e dei lavoratori che possono ora fruire di alcuni ammortizzatori sociali. L’abolizione dell’indennità di mobilità e la durata molto più ridotta delle tutele in favore di coloro che vengono sospesi dal lavoro o licenziati sono però scelte tutt’altro che positive per un’economia che non è ancora uscita pienamente dalla gravissima crisi degli ultimi 8/10 anni. A ciò si aggiunge il fatto che molte delle innovazioni introdotte con il Jobs act o sono state realizzate con una fretta a dir poco eccessiva o sono rimaste in tutto o in parte a livello di buone intenzioni.

Mi riferisco soprattutto alla cosiddetta politica attiva del lavoro la cui concreta realizzazione è ancora all’anno zero. Il Governo Renzi e le parti sociali hanno dichiarato comunque che a breve, a molto breve, verranno apportate le prime modifiche. A questo riguardo nessuna vera sorpresa: l’art. 13 della legge 183 del 10 dicembre 2014 – la famosa “legge delega” di riforma del mercato del lavoro e delle tutele previdenziali – prevede infatti che “entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi (del Jobs act) il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti medesimi, tenuto conto delle evidenze attuative nel frattempo emerse”. I primi due decreti legislativi (il 22 e il 23, riguardanti la riforma dei trattamenti di disoccupazione e dei contratti di lavoro a tempo indeterminato) sono entrati in vigore il 7 marzo 2015; i dodici mesi indicati dalla legge delega sono quindi già scaduti.

Nessuna sorpresa dunque se a breve verranno disposte le prime modifiche almeno per i punti più contestati. Il prossimo Consiglio dei Ministri infatti dovrebbe varare almeno le due prime modifiche: quella riguardante le modalità con cui i lavoratori dipendenti devono comunicare le proprie dimissioni e quella sull’utilizzo dei voucher. 2 Ed ecco i perché: - dimissioni: il nuovo sistema esclusivamente telematico di comunicazione delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali si è da subito rivelato troppo complesso ed incompleto: dovrebbero quindi entrare in vigore disposizioni più chiare e più snelle e che estendano espressamente le nuove modalità alle dimissioni per giusta causa. - voucher di lavoro (da non confondere con i “voucher aziendali” che sono invece “buoni aziendali” con cui far fronte alle spese per badanti, babysitters, asilo nido, assistenza sanitaria integrativa, ecc.): questi voucher, con cui vengono retribuiti i lavoratori dipendenti e al tempo stesso pagati i contributi Inps e Inail, sono passati da un valore orario di 7,5 euro nel 2003 a quello attuale di 10 euro e possono essere utilizzati ormai per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività lavorativa.

Di qui un aumento vertiginoso delle quantità acquistate dai datori di lavoro, soprattutto negli ultimi 3 anni. Infatti nel 2013 ne sono stati acquisiti quasi 41 milioni, nel 2014 quasi 70 e nel 2015 addirittura 115 milioni, per un importo medio però, per ciascun lavoratore pagato in questo modo, di 628 euro soltanto nel 2014 e di 633 euro nel 2015! Evidentemente molte cose non hanno funzionato. E’ lo stesso Ministero del Lavoro a comunicare ufficialmente che i voucher, introdotti allo scopo principale di far emergere il lavoro nero, vengono ora utilizzati come un vero e proprio sistema per “legalizzare” il lavoro nero: moltissime infatti sono le aziende – ha dichiarato il Ministero del Lavoro in un recente comunicato stampa – “che, al pari di un cittadino che utilizza il biglietto dell’autobus solo se sale a bordo il controllore, acquistano il voucher… ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte di un ispettore del lavoro”.

Di qui la necessità, non più rinviabile, di introdurre un sistema per rendere pienamente tracciabili questi voucher; d’ora in avanti, precisa sempre il Ministero del Lavoro, “le imprese che li utilizzeranno dovranno comunicare preventivamente, in modalità telematica, il nominativo e il codice fiscale del lavoratore per il quale verranno utilizzati, insieme con l’indicazione precisa della data, del luogo e della durata della prestazione lavorativa che verrà svolta”. Ma è proprio questa comunicazione “in modalità telematica” dell’utilizzo dei voucher che non può non destare grandi perplessità. Le procedure telematiche sono, è ovvio, assolutamente necessarie per questo tipo di controllo, ma se questa funzionerà come funzionano da sempre le tante banche-dati telematiche di Ministero del Lavoro, Inps, Inail e Istat, che spesso non colloquiano tra loro e quando lo fanno si contraddicono quasi su tutto, addio davvero a controlli validi e tempestivi tali da contrastare efficacemente il lavoro nero e l’evasione sempre più estesa di tasse e contributi.

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