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Economia
L'Ilva e gli errori di Marco Travaglio. Come si possono distorcere i fatti...

Nel suo editoriale di ieri 28/06/’19, il solerte Marco Travaglio considera tre esempi di scarso attaccamento di svariati soggetti, tra cui principalmente altri quotidiani nazionali, da lui chiamati “giornaloni”, alla legalità. Riproduco quasi per intero, facendolo poi seguire da alcuni commenti miei, il suo esempio  2), che verte sulla gestione dell’Ilva di Taranto da parte degli ultimi governi. A mio avviso in questo passo, che non contiene alcuna affermazione di cui si possa dichiarare la falsità, oscura però abilmente una parte significativa dello svolgimento della triste vicenda recente dell’Ilva.

2) A Taranto i nuovi padroni del’Ilva, gl’indiani di Arcelor Mittal, scelti a suo tempo dall’ottimo Calenda per rimpiazzare i Riva e i commissari, fanno sapere che senza l’immunità penale -gentilmente concessa dagli ottimi Renzi e Calenda e revocata dal cattivo Di Maio- chiuderanno lo stabilimento a Settembre e chi si è visto si è visto. Anche lì, una multinazionale che s’impegna a rilevare uno stabilimento italiano secondo le leggi del paese che lo ospita in cambio di copiosi guadagni e poi minaccia di andarsene se non gli viene assicurata l’impunità in caso di reati prima ancora di commetterli (si spera), dà l’idea di non avere alcuna intenzione di osservare il Codice Penale. E nessuno si scandalizza, come del resto nessuno fece un plissé quando il Pd  regalò ai commissari di governo la licenza di delinquere, in quel caso di uccidere: l’unico scandalo, a leggere i giornaloni, è perché il governo Conte l’ha finalmente revocata.

Tutti i particolari ricordati in questo passo sono veri. L’immunità, l’erezione attorno all’Ilva e a Taranto di una specie di cortina non solo extra legem ma contra legem, che io avrei detto assolutamente incompatibile con uno Stato di Diritto, e a maggior ragione con uno Stato costituzionale, e contro cui instancabilmente e meritoriamente si è battuta la procura di Taranto, fu concessa da Renzi e forse anche da alcuni suoi predecessori. E, poiché tutti, compresi i tarantini, volevano e vogliono fortemente, disperatamente, che l’acciaieria continuasse a funzionare pur uccidendo, le poche voci di dissenso furano tacciate di anti-industrialismo. Ricordo che un opinionista del Corriere sentenziò  che anche la disoccupazione era una malattia mortale. Se i tarantini dovevano morire tanto valeva fargli produrre l’acciaio…I tarantini, quanto a loro, mandarono a vuoto con l’astensione massiccia un referendum consultivo voluto e ottenuto dai Verdi.

Questo fu dunque il regime in cui l’Ilva si trovava quando iniziarono le trattative con l’Arcelor Mittal: per loro, queste erano “le leggi del paese”: continuare a inquinare si poteva. Le trattative furono concluse felicemente da Di Maio, con la concessione della solita immunità. Dunque, contrariamente a quanto sembra sostenere Travaglio, non c’è alcuna ribellione alla legge da parte degli indiani, alcun esecrabile ricatto da parte loro. E allora non è vero che Dia Maio revocò l’immunità? Non all’atto di concludere l’accordo, di cui essa è, comprensibilmente, una componente essenziale. La revoca viene compiuta nel “Decreto Sviluppo” che il Senato, dopo la Camera, ha approvato l’altro ieri, 26/06/’19. Del resto a Novembre è attesa una sentenza della Corte Costituzionale, sollecitata strenuamente dai valorosi magistrati di Taranto. Può un governo nelle sue trattative con un ente privato o pubblico, nazionale o internazionale, offrire la facoltà di violare, e violare sistematicamente, continuativamente, le sue stesse leggi?

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