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L'Italia della logica del "piccolo è bello" ha bisogno di grandi aziende
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L'Italia della logica del "piccolo è bello" ha bisogno di grandi aziende

Grande è poco attraente, sporco e addirittura dannoso. Conseguenze, preoccupazioni e considerazioni amare generali in seguito a una tumultuosa separazione. Non solo circoscritto alla Puglia. La nazionalizzazione temporanea dell'ex Ilva, ora Acciaierie d'Italia holding (Adih), sembra ormai inevitabile. Tuttavia, questa avverrà al termine di un commissariamento straordinario, il cui avvio è pianificato dal governo, e sulle cui modalità già si profilano numerose incertezze. Questo, o dopo un accordo extragiudiziale tra ArcelorMittal e Invitalia, il quale appare al momento improbabile. Il gruppo franco-indiano non gode più (per usare un eufemismo) di favore. Ha sicuramente commesso errori, ha assunto posizioni discutibili e potrebbe aver gestito la situazione più per preservare la sua quota di mercato europea che per svilupparla. Questo è quanto riporta l'Economia del Corriere. 

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Qualsiasi cosa si dica. Tuttavia, non è, come affermato dalla comoda narrazione sovranista, populista e localista, un impero siderurgico malvagio. Che piaccia o meno all'estero, essi credono di più nelle loro ragioni, giuste o sbagliate che siano, e meno in quelle di Invitalia, esposte con orgoglio dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Un particolare, uno dei tanti nell'intricata vicenda, risulterà come un tarlo dannoso ogni volta che un grande gruppo internazionale valuterà un investimento in Italia. In una mail indirizzata a Ondra Otradovec, responsabile globale dell'M&A di ArcelorMittal, il ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, scriveva: "Confermando che la nostra interlocuzione risponde ancora alle determinazioni del governo per il rilancio dello stabilimento ex Ilva di Taranto, in modo sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico, chiedo la trasmissione urgente del piano strategico 2024-30 presentato dal consiglio di amministrazione di Adih il 16 novembre scorso." 

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Questa interlocuzione è stata considerata dal socio pubblico come una violazione degli accordi non scritti. Nel silenzio del ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, principale azionista di Invitalia, si è svolta davanti al socio franco-indiano la commedia (o farsa) di un governo diviso. Da un lato Fitto, dall'altro Urso. Dubitiamo che questa situazione possa passare inosservata, nota come il pruno Le nnarre. Senza menzionare lo scudo legale, assicurato al socio estero nella competizione per assegnare ArcelorMittal, data la complessità della situazione giudiziaria derivata dal sequestro del 26 luglio 2012, successivamente revocato dal primo governo di Giuseppe Conte. Il precedente premier pentastellato è stato accusato in Parlamento da Urso di aver siglato "un accordo leonino" con ArcelorMittal. È comprensibile che molti dirigenti di multinazionali evitino di stabilirsi in Italia e che l'incertezza legale e civile rappresenti un ostacolo difficilmente superabile per gli investitori stranieri. L'azionista pubblico di Adih, ovvero lo Stato, probabilmente discuterà un accordo di uscita, un sorta di compensazione, che potrebbe aggirarsi tra i 200 e i 250 milioni di euro. 

Sempre che la procedura legale non diventi un pantano inestricabile. L'attuale amministratrice delegata, Lucia Morselli, ha discusso di ciò nei giorni scorsi in un incontro informale con la presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, Caterina Macchi. La tumultuosa vicenda dell'ex Ilva di Taranto non riguarda solo il settore siderurgico. Non è un caso isolato. Unica nella sua peculiare perversità. E neanche una questione regionale o pugliese. Se ragionassimo in questo modo, daremmo ragione ai Cinquestelle sfuggenti, che hanno contribuito non poco — sia all'opposizione che al governo — a ridurre la credibilità italiana in briciole. E anche al presidente della Regione Puglia, con il suo movimentismo pauperista che lo ha sempre seguito, interpretando un sentimento popolare, purtroppo, molto diffuso. Michele Emiliano non solo sostiene la chiusura dello stabilimento ma afferma che sarebbe stato meglio per tutti, non solo per la Puglia, non averlo mai avuto.

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