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Economia
Le Borse? Fanno il tifo per i dazi. Con la pace Trump-Xi risalgono i tassi

"Cercavo un mare calmo e ho trovato te/Col vento così forte, non dirmi buonanotte/Soltanto per stasera/Amore e capoeira/Cachaça e luna piena/Con me in una favela”, la canzone di Takagi e Ketra con l’inconfondibile voce di Giusy Ferreri non è un nuovo singolo, ma è la canzone che ci ha accompagnato per tutta la scorsa estate. Nuovo è l’uso che ne è stato fatto, e cioè la sostituzione delle parole che la fantasia dei tifosi juventini, spinta dall’eccezionale rimonta contro l’Atletico Madrid hanno tradotto in “volevo un fuoriclasse e han comprato il Re, col tiro così forte, sfonda tutte le porte. Col 7 sulla schiena, in maglia bianconera, un sogno che si avvera, Cristiano da Madeira!” Una canzone, che una volta sentito il coro, è impossibile da non cantare, un brivido corre lungo la schiena, una canzone che resta incollata nella mente, ma che purtroppo, come tutte le cose che smuovono l’anima, ha le sue controindicazioni.

borsa
 

L’altra mattina, mentre stavo facendo colazione nel solito bar, stavo ascoltando la stessa sequenza di canzoni, la stessa da ormai 4 mesi, quando a un certo punto arriviamo a quella canzone, a Giusy Ferreri che tanto ci aveva allietato la scorsa estate e tanto ci aveva euforizzato con la tripletta di CR7,  solo che ora i tempi sono cambiati, la Juve non è più in coppa, è uscita malamente con l’Ajax e quella canzone non ha più lo stesso sapore, ma è un pugno che entra nello stomaco.

L’amarezza striscia nell’anima come la carta vetrata, e in quel momento ho pensato che lo stesso stato d’animo, sballottato dall’euforia alla depressione, lo devono avere gli investitori di tutto il mondo, in particolare a Wall Street, che fino a pochi giorni fa veleggiava verso nuovi record, con i dati economici Usa che gonfiavano le vele e che nello spazio di un weekend, hanno visto quelle vele bucarsi, e ora addirittura temono che la barca affonderà.

Sono i tempi dell’economia digitalizzata e della finanza robotizzata, tempi volubili, un giorno sei Messi che viene consacrato come il migliore giocatore del mondo, celebrando il seicentesimo goal con una punizione capolavoro gioendo per un passaggio del turno già in tasca, e pochi giorni dopo, travolto da un Liverpool che ha tanto le fattezze di un orso inferocito. Ti distrai solo un attimo, e l’algoritmo, a volte sotto forma di tweet a volte sotto altre sembianze, ti colpisce con una valanga di goal, nel caso della finanza,  la valanga è nei crolli di borsa. 

Il momento che separa il bianco dal nero, il bene dal male, il rialzo dal ribasso è domenica, casualmente un giorno in cui le borse sono chiuse, riposano, ma non le dita di Trump che digita uno dei suoi tweet di fuoco, solo che questa volta i mercati decidono di prenderlo sul serio e già nella notte tra domenica e lunedì i futures sono in pesante ribasso. Il lunedì, il giorno tanto odiato da Vasco, diventa un giorno orribile anche per gli investitori, specie i rialzisti, i listini sono travolti dall’inchiostro rosso, che bagna e spegne tutte le polveri che erano state accese. Ma davvero le minacce di Trump devono fare così paura?

Se ritorniamo per un attimo ai momenti dei fasti, a quel venerdì 3 Maggio ricordiamo che il clima era ben diverso dai timori e dalle paure che oggi ci attanagliano, c’era un buonumore trascinato dal Pil USA che cresceva di oltre il 3%, persino l’Italia aveva battuto le stime con quel risultato da prefisso telefonico che tanti sospiri di sollievo aveva suscitato.

Ma il dato principe, quel venerdì, è stata la disoccupazione USA, il dato più basso dal 1969, numeri euforizzanti, visti con gli occhi spaventati di oggi, in verità quel giorno più di tanto entusiasmo, almeno nelle borse, non l’aveva creato, molto più effetto sicuramente l’aveva avuto la conversione di Buffett nei confronti della tecnologia, con il sorprendente acquisto di azioni Amazon. Ed è stato in questa chiassosa gioia, come tante anatre nello stagno, che Trump ha deciso di provare a lanciare il sasso ed a vedere l’effetto che fa. L’effetto è che le anatre si sono immediatamente spaventate e sono volate via.

Le borse salivano sull’aspettativa di una soluzione al problema dazi, dicevano gli operatori, ed ora che la possibilità di accordo si allontana, l’incertezza come la kryptonite svilisce la forza e le certezze degli operatori. Ma veramente il tema dazi è il discrimine tra un futuro Toro o Orso delle Borse?

Se ripercorriamo a ritroso quest’escalation, ritornando a quando tutto è cominciato, scopriremmo che la realtà è ben diversa da come la percepiamo oggi. Tutto ha avuto origine il 6 luglio 2018, quando gli USA varano le prime tariffe, il 25% su 34 mld di import, sanzione a cui subito la Cina replica con altrettanti penali sul medesimo importo. Il 23 agosto comincia il secondo round, entrambi i paesi impongono dazi su 16 miliardi di beni. Ma è il 18 settembre che la posta sale, quando gli USA finalizzano la lista su 200 mld, un pacchetto velenoso a cui la Cina replica con una risposta di 60 miliardi.

Ma la data più importante è quella del 22 settembre, il fattaccio, il giorno in cui saltano i colloqui tra i due paesi, di lì in poi l’escalation si inasprisce con un’alternante esposizione di muscoli infarciti di steroidi.

Ma se a questi eventi, sovrapponiamo l’andamento dei mercati, scopriamo che i dazi, nel medio termine non sono così determinanti e nocivi per la salute del rialzo. A dire il vero, la prima avvisaglia di questo problema si ha nell’Aprile del 2017, quando il presidente Xi Jinping, in visita da Trump a Mar-a-lago in Florida concorda su un piano di 100 giorni per sciogliere il nodo dazi prima che la questione diventi troppo ingarbugliata.

I mercati nel 2017 veleggiavano con grandi rialzi, l’effetto Macron si diceva, un rialzo che si perpetua a inizio 2018, e a Wall Street, l’ombelico del mondo finanziario, il rialzo continua anche per tutta l’estate. In verità, la brusca interruzione avviene a dicembre dello scorso anno, quando a margine del G20 in Argentina Trump e Xi stipulano una tregua di 90 giorni, congelando l’escalation di aumenti.

Proprio in quel momento la paura dilaga nei mercati, perché il vero problema, la politica monetaria e i tassi zero, vengono messi in pericolo. È questo il momento in cui i protagonisti si tolgono la maschera, perché il vero braccio di ferro non è tra Trump e Xi Jinping, ma tra Trump e Powell, una sfida che diventa pericolosa.

Siete ancora convinti che siano i dazi il vero pericolo? Pensateci bene, e riflettete sul personaggio Trump almeno per come lo conosciamo, un giorno fa e l’altro disfa. E voi vi illudete che una volta firmato l’accordo con Xi Jinping filerà tutto liscio? E chi lo dice che un giorno, o meglio una notte, non spunterà uno dei suo tweet che annuncia la rottura dell’accordo? 

Lo può fare, è implicito nelle condizioni contrattuali ed è una variabile da tener presente conoscendone il temperamento. E si può anche facilmente immaginare quale potrà essere la data della rottura: subito dopo la futura rielezione del 2020. Fantasia?

Più fantasiose mi sembrano le idee di chi vede un taglio ai tassi da parte della Fed, una volta conclusa la trattativa sui dazi. Au contraire, con la questione dazi chiusa e con il riavvio dell’economia mondiale, ci sarebbe un motivo in più per alzarli, i tassi, e non diminuirli, sicuro che questa mossa farebbe piacere alle borse? A vedere quello che è successo a dicembre, quando un piccolo aumento ha scatenato un ribasso che non si vedeva da decenni e nella stagionalità più favorevole, non sembrerebbe.

Canta che ti passa, dicevano i soldati in trincea quando la paura ti assaliva, e “canta che ti passa” è il nuovo singolo degli Zen Circus, ma non è questa la canzone più adatta al momento, la canzone da cantare rimane “Hotel California” degli Eagles, la colonna sonora sui mercati in questi 10 anni di rialzi.

Tu puoi fare check-out dall’hotel quando vuoi, ma non lo farai mai, è la metafora di questa politica monetaria a tassi zero che piacevolmente ci tiene imprigionati, e che tutte le volte in cui decidiamo di uscirne, troviamo sempre una scusa per fare retromarcia e rimanerci dentro. Secondo il nostro meccanismo ben oliato, che da 10 anni funziona, sono gli impedimenti che fanno crescere strutturalmente le borse, perché tengono i tassi a zero e la liquidità abbondante, e non le buone notizie globali. Da investitore, e non da cittadino, più che di Trump, mi fido di Draghi e Powell, quindi paradossalmente e in prospettiva futura, il mancato accordo sui dazi lo vedrei come la miglior notizia.

Secondo il Financial Stability Report della Fed pubblicato lo scorso 5 maggio, “i prestiti ad aziende fortemente indebitate sono oggi superiori ai picchi del 2007 e 2014”. Un altro buon motivo per tenere i tassi a zero, dentro Hotel California la festa può continuare.

@paninoelistino

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