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Economia
Le dichiarazioni non finanziarie? Perché le imprese puntano alla sostenibilità

Convegno di Nedcommunity e Ubi Banca: i fattori ESG (environmental, social, governance) entrano in bilancio

Sono 205 le dichiarazioni non finanziarie pubblicate dalle società, di cui 3 volontarie, e il 59% delle aziende è alle prese con la prima rendicontazione non finanziaria. Sono i dati che emergono da una ricerca condotta in sinergia da KPMG e Nedcommunity.

I fattori ESG (environmental, social, governance) sono destinati, dunque, a diventare parte integrante della strategia delle aziende dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 254/2016, che recepisce la Direttiva europea 2014/95, in base al quale dal 2018 le imprese di grandi dimensioni (che sono "enti di interesse pubblico") devono produrre un’informativa non finanziaria riguardante i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva. 

Sulla base di una ricerca realizzata in sinergia da KPMG e Nedcommunity (l’associazione italiana degli amministratori non esecutivi e indipendenti, componenti degli organi di governo e controllo delle imprese), su un campione di 205 imprese, i temi identificati come maggiormente rilevanti riguardano: i temi del personale (salute e sicurezza 75%, sviluppo capitale umano 72% e promozione della diversità 65% del campione), i temi ambientali (climate change 58%, efficienza energetica 57%, gestione dei rifiuti 43%), l’anticorruzione (62%), i rapporti con la comunità (60%) e la tutela dei diritti umani (52%).

I risultati dell’indagine sono stati discussi oggi nel corso del convegno organizzato da Nedcommunity con UBI Banca, al quale sono intervenuti esponenti del mondo della finanza, delle istituzioni, del credito e delle imprese. Dopo l’introduzione del presidente del Consiglio di gestione di UBI Banca, Letizia Moratti, e del presidente di Nedcommunity, Paola Schwizer, sono state presentate alcune evidenze della ricerca. È emerso come, seppur con un’applicazione variegata, tutte le aziende hanno adottato gli standard di rendicontazione del Global Reporting Initiative identificando, come previsto dal Decreto 254, i propri temi materiali.

Emerge inoltre che il 70% delle aziende analizzate ha deciso di dotarsi di almeno una politica formalizzata relativa agli ambiti previsti dal Decreto, nell’80% dei casi riferita alle tematiche ambientali. La governance della sostenibilità risulta invece una prassi in fase di sviluppo. Infatti, solo il 16% del campione ha istituito un comitato endo-consiliare di sostenibilità mentre un ulteriore 14% ha delegato le responsabilità dei temi ESG ad un comitato preesistente (nella maggioranza dei casi al Comitato Controllo e Rischi). 

Tra i partecipanti al convegno, hanno offerto la loro visione e presentato best practices esponenti del mondo industriale, istituzionale e finanziario tra i quali: Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni; Filippo Bettini, Chief Sustainability & Risk Governance Officer di Pirelli; Federica Ruzzi, Sustainability Director di MonclerSilvio De Girolamo, Group Chief Internal Audit & CSR Officer di Autogrill, Enrico Giovannini, ASVIS, Cristina Bombassei, Chief CSR Officer di BremboEdoardo Garrone, presidente di ERG, Stefano Venier, amministratore delegato del Gruppo HeraVictor Massiah, consigliere delegato di UBI Banca, Guglielmina Onofri, Consob e Andrea Moltrasio, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di UBI Banca.

Le dichiarazioni non finanziarie: lo stato dell'arte e le voci delle imprese

La trasparenza in termini di capacità di assunzione di responsabilità sociale nei confronti delle persone, delle comunità e delle economie in cui le organizzazioni sono attive, rappresenta da sempre un elemento di attenzione da parte di UBI Banca - sostiene Andrea Moltrasio, Presidente del Consiglio di Sorveglianza di UBI Banca -. Nelle nostre scelte consideriamo l’impegno alla promozione dei principi universali del Global Compact delle Nazioni Unite, di cui UBI Banca è firmataria, e la necessità di concorrere all’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per uno sviluppo economico globale compatibile con la promozione del benessere umano e la protezione dell’ambiente, dandone costante resoconto nel Bilancio di Sostenibilità. Siamo anche consapevoli del fatto che quanto realizzato finora non costituisca un punto di arrivo ma rappresenti una solida base per proseguire nell’impegno, come protagonisti attivi nella diffusione di un’adeguata cultura in tema di rendicontazione non finanziaria”.

Dalla ricerca emerge inoltre che il 59% delle aziende è al primo anno di rendicontazione non finanziaria, mentre il 41% è rappresentato da aziende che avevano già intrapreso un percorso di reporting di sostenibilità.

Interessante notare che le imprese di grandi dimensioni, sia in termini di dipendenti sia di fatturato, in media, sono quelle che svolgevano attività di rendicontazione anche prima del 2017, al contrario delle aziende più piccole. Si osserva che 143 aziende, pari al 70% del campione, hanno scelto di pubblicare una relazione distinta, 44, pari al 21%, hanno dedicato una sezione specifica all’interno della Relazione sulla gestione e solo 4 aziende hanno riservato all’informativa non finanziaria una sezione della Relazione sulla gestione che rimanda ad altre sezioni del documento. Un certo numero, 14, ha intrapreso una “quarta via” ovvero una relazione distinta pubblicata nel fascicolo della “Relazione Annuale Finanziaria” seppur separata dalla Relazione sulla Gestione (7%).

Le dichiarazioni non finanziarie: come presidiare i rischi dei fattori ESG

È interessante vedere se e come le aziende presidiano i rischi emergenti legati ai fattori ESG. La survey – osserva il presidente di Nedcommunity Paola Schwizer sembra mostrare un quadro complessivamente positivo in particolare per le aziende del FTSE MIB: il 74% del campione dichiara di avere un modello integrato di gestione dei rischi. Solo il 61% identifica tuttavia rischi per tutte le aree oggetto di rendicontazione obbligatoria. Tra quelli più ricorrenti, oltre ai rischi coperti da normative apposite, come ad esempio in materia di sicurezza o di anticorruzione, vi sono aspetti legati a fattori ambientali e di cambiamento climatico (oltre il 40% delle FTSE MIB). Anche per questo gruppo di società a maggiore capitalizzazione, tuttavia, supply chain risk, cyber security o talent management appaiono qualificati o misurati solo in pochi casi. È evidente quindi che la tendenza in atto è verso un approccio globale ai rischi, anche legati a trend di lungo periodo, ma il percorso di sviluppo di misure affidabili su aspetti spesso intangibili deve essere portato avanti con convinzione. Oltre a soddisfare i requisiti del decreto, ciò può contribuire a una più consapevole formulazione di orientamenti e scelte strategiche e a far sì che le aziende siano preparate ad affrontare i potenziali effetti dei trend evidenziati sul proprio contesto competitivo”.

Piermario Barzaghi, Partner KPMG, evidenzia come “i risultati raggiunti in questi anni dalle imprese italiane sul reporting di sostenibilità sono stati molto positivi nel contesto europeo. Tuttavia, emerge dall’analisi che a seguito dell’introduzione del Decreto 254/2016 molte imprese (120) hanno pubblicato per la prima volta una Dichiarazione non finanziaria e 3 aziende hanno aderito volontariamente alle richieste del Decreto. Per i prossimi anni si attendono ulteriori progressi: uno sviluppo di processi di pianificazione strategica che considerino rischi ed opportunità ESG emergenti, una crescente integrazione della sostenibilità nella governance aziendale e un’ulteriore focalizzazione del reporting sui temi ESG rilevanti per il business e per gli stakeholder”.

Sulla base di una lettura trasversale delle rendicontazioni non finanziarie - secondo Patrizia Giangualano, professionista attiva nell’ambito del miglioramento della governance aziendale, consigliere indipendente e membro di Nedcommunity - emerge uno scenario nel quale la sostenibilità è sempre più integrata all’interno della strategia e del business. Le analisi di materialità sono divenute un importante strumenti di ascolto dei propri stakeholder dalle quali far emergere i temi di maggiore rilevanza per le aziende al fine della creazione di valore nel lungo periodo. Inoltre, bisogna rilevare che nel corso dell’applicazione della normativa, un ruolo fondamentale è proprio stato svolto degli organi di governo che si sono occupati non solo di tradure i comportamenti aziendali in elementi informativi da riportare nella dichiarazione non finanziaria, ma hanno utilizzato tali informazioni per creare nuovi paradigmi di comportamento da considerare nella propria analisi dei rischi, pianificazione strategica e nelle conseguenti decisioni operative”.

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