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Economia
Le elezioni Usa viste dai mercati

Manca ormai meno di un mese all'8 novembre, data in cui gli statunitensi eleggeranno il loro nuovo presidente e contemporaneamente rinnoveranno tutti i 435 deputati e un terzo (34) dei senatori. La scelta non sembra esaltante: sia Hillery Clinton, data in leggero vantaggio negli ultimi sondaggi con un margine che oscilla tra il 4% e il 5%, sia Donald Trump appaiono alla maggioranza degli elettori una scelta inadatta.
Mediamente, infatti, la moglie dell'ex presidente Bill Clinton gode del favore del 43,1% degli elettori americani ma non dà un'impressione favorevole al 52,3% di essi. Il miliardario figlio del facoltoso immobiliarista newyorkese Fred Trump piace ancora meno: dà un'impressione favorevole solo al 35,7% degli elettori ed un'impressione sfavorevole al 59% di essi. Come si dice in questi casi, comunque vada tanta gente dovrà semplicemente "turarsi il naso" e scegliere non il candidato migliore, ma il meno peggiore secondo il proprio punto di vista.
Ma cosa cambierà per lo scenario politico-economico mondiale a seconda della vittoria dell'uno e dell'altro e su quali titoli si potrà puntare (o quali saranno da evitare) in borsa? Al momento i mercati sembrano essere convinti che con la probabile vittoria di Hillary Clinton e un Congresso ancora controllato da repubblicani radicali alla Camera e nel quale la maggioranza del Senato passerebbe dai repubblicani moderati ai democratici non muterebbe troppo lo scenario rispetto a quanto visto negli ultimi due anni del secondo mandato di Barack Obama.
Tutti i rischi sono stati finora associati a una vittoria di Donald Trump che essendo una totale "incognita" politica non piace ai mercati. Una sua elezione renderebbe dunque estremamente nervose le borse, a partire da Wall Street, ma anche i mercati obbligazionari, perché non è chiaro se la Federal Reserve a quel punto preferirebbe temporeggiare ancora o alzare i tassi con un piglio più aggressivo di quello mantenuto finora.  Ma anche la vittoria della Clinton, con l'eventuale (per quanto al momento non scontata) vittoria piena dei democratici sia alla Camera sia al Senato potrebbe spostare gli equilibri e causare tensioni sui mercati.
Senza una significativa opposizione, la Clinton potrebbe nominare nuovi giudici "liberal" alla Corte Suprema, dove un o posto è vacante dopo la morte di Antonin Scalia lo scorso 13 febbraio, mentre altri 3 posti potrebbero liberarsi nei prossimi mesi o anni (quelli dell'ottantenne Anthony Kennedy, ultimo dei giudici nominati da Ronald Reagan, oltre che di Ruth Bader Ginsburg, 83 anni, e di Stephen Breyer, 78 anni, entrambi nominati da Bill Clinton). Questo potrebbe rendere gli Usa in pochi anni più simili alla "socialdemocratica" Europa di quanto non siano mai stati.
Ne trarrebbero beneficio assicuratori sanitari come Cigna tramite il mantenimento e forse rafforzamento dell'Obamacare, ma anche banche come Citigroup, social media come Facebook e gruppi della green economy come First Solar. L'ossessione di Trump di rendere gli Usa "più forti" potrebbe invece portare a una significativa riduzione, se non alla cancellazione totale, dell'Obamacare, ed un sostegno al settore petrolifero e dello shale oli a stelle e strisce (cosa che farebbe bene a titoli come ExxonMobil).
Trump ha poi promesso di varare agevolazioni fiscali (in primis l'abbattimento dal 35% al 15% dell'imposizione sugli utili aziendali) per far rimpatriare utili finora mantenuti all'estero da aziende come Apple e aumentare le spese per la sicurezza, cosa che darebbe più lavoro ad aziende come Geo Group, principale "fornitore" privato di carceri, istituti correttivi e comunità di reinserimento sociale per il governo federale americano. Ma anche a gruppi come la messicana (ma quotata a Wall Street) Cemex, il cui cemento potrebbe servire per le infrastrutture su cui Trump vuole puntare per far ripartire la "sua" America, tra cui il discusso muro di confine tra Usa e Messico.
Anche l'impatto sui mercati internazionali sarebbe molto diverso: con Hillary Clinton i mercati azionari emergenti potrebbero ancora recuperare terreno, al pari di quelli europei, mentre i bond dovrebbero mantenere una impostazione neutro-negativa perché comunque la Federal Reserve non può rinviare all'infinito il rialzo dei tassi sul dollaro; con Donald Trump i mercati azionari emergenti rischiano di soffrire, mentre quelli europei (salvo forse Londra, per la "vicinanza" di Trump alla Gran Bretagna che Theresa May si prepara a guidare fuori dalla Ue) potrebbero soffrire qualche temporaneo sbandamento per poi mettersi alla finestra in attesa di capire come nel concreto il nuovo presidente vorrà regole le relazioni tra gli Usa e i vari blocchi economici.
I bond sono a rischio in ogni caso, perché la Fed non può rimandare all'infinito il rialzo dei tassi, ma con Trump potrebbero registrare una maggiore volatilità se non altro perché il candidato repubblicano vorrebbe anche che gli Usa dipendessero meno dagli investitori esteri, che a fine luglio (ultimi dati disponibili) la Cina deteneva circa 1.219 miliardi di T-bond, il Giappone circa 1.155 miliardi, l'Irlanda poco meno di 270 miliardi, le Isole Cayman oltre 264 miliardi, il Brasile attorno a 254 miliardi e la Svizzera più di 240 miliardi. In totale erano in mani estere quasi 6.250 miliardi di titoli di stato Usa e questo nonostante Cina, Giappone e paesi come l'Arabia Saudita abbiano già ridotto l'ammontare di T-bond in loro possesso: Trump sarebbe dunque visto come il classico elefante in una cristalleria.
 

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