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Economia
Lo spettro dell'aumento su Deutsche Bank. Sindrome senese per Francoforte

di Andrea Deugeni
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@andreadeugeni

Nelle sale operative, dicono gli analisti, è un film già visto. In un clima di generale diffidenza degli investitori sui titoli bancari nell'era dei tassi a zero, quello che sta accadendo a Deutsche Bank, colosso del credito tedesco (patrimonialmente parlando) dai piedi d'argilla, è un po' quello a cui abbiamo assistito in Italia nel dramma Montepaschi. Vicenda dove il newsflow negativo (bocciatura agli stress test e la richiesta della Bce di risolvere il prima possibile la questione delle sofferenze, tema però di difficile valutazione e risoluzione e, dunque, generatore di incertezza) ha innescato il circolo vizioso della sfiducia sul titolo su cui si è innestata poi la speculazione (che ha fatto affari d'oro) in un avvitamento azionario verso il basso senza fine. E così dai 30 euro di agosto 2015 (poco più di un anno fa), il titolo è arrivato ora alla Borsa di Francoforte ai minimi storici (10,55 euro), mandando in fumo due terzi della capitalizzazione di mercato (-53% del valore da inizio anno).  

Cos'è stato a scatenare l'ultimo strappo verso il basso dell'azione che dal 15 settembre ad oggi ha perso un altro 20% circa? La notizia della richiesta di un esborso di 14 miliardi di dollari da parte del Dipartimento di Giustizia americana per chiudere l'indagine sui mutui subprime per fatti che portarono poi al fallimento di Lehman Brothers. Certo, molti investitori, anche alla luce dell'andamento e dell'esito di trattative analoghe con grandi istituti Usa come Bank of America e Citigroup, dubitano ovviamente che alla banca tedesca venga comminata una multa di tale entità, ma conti alla mano, per gli analisti, anche una multa di solo 4 miliardi rischia di sollevare dubbi sulla patrimonializzazione di Deutsche Bank e quindi di far scattare la necessità di un aumento di capitale di grandi dimensioni. 

In questo quadro ad alimentare la diffidenza nei confronti dell'istituto teutonico, c'è da aggiungere che, dopo la perdita monstre di quasi 7 miliardi di euro (dovuta alle spese legali) e ricavi in flessione del 15% nel solo ultimo trimestre del 2015, la prima banca tedesca potrebbe fare il bis in un contesto di business dove è molto difficile per gli istituti di credito generare redditività. Oltre tutto con un bilancio caratterizzato dalle ombre dei derivati.

Deutsche Bank ha emesso infatti derivati per 75 mila miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco e da anni tiene a bilancio ingenti quantità di questi titoli classificati di livello 3. Ossia strumenti finanziari a cui non si riesce a dare un prezzo perché non trattati sui mercati e non equiparabili ad altri prodotti simili che invece lo sono. Una voce, dunque, di difficile valutazione contabile (com'è stato per gli Npl presenti nel bilancio di Mps) che mette in fuga gli investitori che vogliono stare alla larga da un mega aumento di capitale ora sempre più probabile. 

Non sono servite a nulla le rassicurazioni della stessa banca tedesca e le smentite arrivate da Berlino che ha rigettato tutti i rumors su un intervento nella vicenda del governo tedesco nel 2017. Anno in cui Angela Merkel si giocherà la rielezione e in cui tenterà di sminare ogni possibile bomba inesplosa.

Sulle sventure di Deutsche Bank, che oggi ha zavorrato l'intero andamento delle Borse europee (l'effetto sistemico di un bail-in di Deutsche Bank sarebbe tremendo), c'è pure chi ha fatto dietrologia. Ha legato cioè la richiesta americana della mega multa da 14 miliardi (per fatti che risalgono a oltre 8 anni fa) a quella, altrettanto miliardaria, dell'Antitrust di Bruxelles comminata alla multinazionale Usa Apple. Una reazione a catena dopo i casi in cui l'Ue, in quella che assume così i contorni di una guerra commerciale fra le due sponde dell'Oceano (dove il Ttip sta naufragando), ha messo alla sbarra anche i big a stelle e strisce Google, Starbucks e Amazon. Contesa di cui la dichiarazione di illeggittimità dei 22 miliardi di sussidi europei ad Airbus, il colosso degli aerei che fa concorrenza all'americana Boeing, da parte del Wto è l'ultimo atto. Insomma, Francoforte rischia di rimanere schiacciata nelle baruffe a nove zeri fra Washington e Bruxelles. 

 

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