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Economia
M5S, giù del 40% il rapporto debito/Pil. La ricetta dell'economista di Di Maio

Lorenzo Fioramonti: se non vi è così familiare il nome dell’economista scelto dal Movimento 5 Stelle come candidato per il collegio uninominale di Roma, siete probabilmente in buona compagnia. Fioramonti è infatti ordinario di Economia Politica dell’Università di Pretoria, in Sud Africa, dove dirige il Centro Studi sull’Innovazione nella Governance oltre ad essere vice direttore del campus sullo sviluppo sostenibile Future Africa. In oltre 15 anni di esperienza accademica Fioramonti il focus della sua ricerca si è spostato dagli studi sulla democratizzazione in economia, sino al ruolo delle istituzioni sovranazionali nella promozione della democrazia, dello sviluppo e della coesione sociale.

Il suo attuale ambito di ricerca si concentra sui processi di governance e di innovazione, in particolare l’integrazione regionale, il cambiamento promosso dal basso e le crisi globali, compreso il degrado ambientale e il cambiamento climatico. Fioramonti, di fatto il principale consigliere economico di Luigi Di Maio, è inoltre noto per le critiche al Prodotto interno lordo (Pil), da lui giudicato un indicatore economico non più idoneo a orientare le scelte politiche ed economiche di una nazione, in quanto non tiene conto di costi importanti che si scaricano sulla collettività, come quelli legati all’inquinamento ambientale o alle diseguaglianze sociali, non tenendo inoltre conto di fattori positivi per la qualità della vita di una persona, come il volontariato o i servizi gratuiti che non si traducono in esborsi monetari (Meglio utilizzare l'indicatore Bes al posto del Pil).

Autodefinitosi un “cervello in fuga”, Fioramonti si troverà in caso di affermazione dei 5 Stelle così ampia da portarli a formare o sostenere un governo, a dover far quadrare conti non proprio facilmente conciliabili, come le misure presenti nel programma economico del movimento (il cui impatto sui conti pubblici è stato calcolato in circa 140 miliardi di euro l’anno complessivamente) e al tempo stesso la asserita volontà di ridurre di 40 punti percentuali il rapporto debito/Pil in dieci anni. Cambiare il Pil per quadrare i conti Una quadratura del cerchio quasi impossibile, perché dato un debito attuale di 2.300 miliardi, aumentare lo stesso di 140 miliardi con un mix di maggiori investimenti pubblici, minori tasse e sostegni al reddito equivale a incrementarlo del 6%, dal 132% al 138% del Pil.

Il che significa che per sforbiciare il rapporto del 40% il Pil e riportare il rapporto debito/Pil al 92%, il denominatore (ossia il Pil nominale) dovrebbe crescere del 50%, ossia di circa 5 punti percentuali l’anno. Dato che il Pil reale non è mai cresciuto più di un 4% l’anno nella migliore delle ipotesi (nel triennio 1988-199), rimanendo al di sotto del 2% l’anno dal 2007 a oggi, l’unica speranza sarebbe quella di vedere un Pil reale attorno al 2%-2,5% e un’inflazione costantemente vicina al 2% (limite “desiderato” dalla Bce, all’avvicinarsi del quale la politica monetaria europea si farebbe meno espansiva cessando dunque di supportare l’espansione). Un obiettivo molto difficile da centrare ma non impossibile e che potrebbe essere raggiunto modificando la definizione del Pil stesso per meglio riflettere gli impatti “sociali” della crescita economica.

Sempre che i mercati restino accondiscendenti anche una volta che il sostegno dato da una politica monetaria Bce ultra rilassata sarà cessato. In ogni caso per il quarantenne economista la quadratura del cerchio sarà una vera e propria prova del fuoco, in grado o di farlo assurgere agli onori della scena economica internazionale, non solo accademica, o di bruciarlo senza possibilità d’appello.

Luca Spoldi

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