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Economia
Mediaset, Bollorè corregge il tiro.La campagna d'Italia gli costa 1,5 miliardi

di Luca Spoldi
Andrea Deugeni

Mentre resta da chiarire la posizione di Flavio Cattaneo alla guida di Telecom su cui anche la Consob ha acceso un faro, Vivendi aggiusta il tiro su Mediaset per andare incontro ai desiderata dell'AgCom sul piano per sterilizzare la quota nel Biscione, eccedente il 10%. Quota che, secondo l'Authority delle comunicazioni, non può tenere senza violare le norme del Tusmar.

PRESENTAZIONE PALINSESTI MEDIASET
 

Secondo le indiscrezioni, dopo che il 19 giugno, allo scadere dei due mesi concessi dall’AgCom per presentare il piano da realizzare entro il termine massimo del 18 aprile dell’anno prossimo, il colosso francese dell'enterteinment ha avanzato una proposta che Marcello Cardani ha rispedito al mittente, la squadra di avvocati di Vincent Bollorè sta definendo un nuovo piano. Lavorando a stretto contatto con con i tecnici dell'AgCom per arrivare a una situazione condivisa.

Il punto contestato dall'Authority pare sia la generica intestazione fiduciaria del quasi 20% del capitale in mano a Vivendi mentre secondo l’Authority per garantire il rispetto della delibera occorre invece indicare un trust indipendente vero e proprio. Possibilmente con un monitoring trustee, scrive il Sole 24 Ore, nominato dall’Authority e da terzi. Sull'idoneità del nuovo schema, poi, l’Agcom si pronuncerà il 27 luglio.

Per Cardani si tratta comunque di una fase transitoria, perché il ripristino del rispetto della legge si realizzerà solo con la cessione della partecipazione accumulata in violazione delle norme che, secondo l'interpretazione data nella delibera del 18  aprile scorso, impediscono ai francesi di restare in Telecom e Mediaset con quote superiori al 10%. 

Intanto, al raider francese non resta che contare le perdite finora accumulate nell’avventura italiana. Il 23,9% di Telecom Italia a fine marzo nella trimestrale di Vivendi era contabilizzato, usando il metodo a patrimonio netto, per 4,19 miliardi a fronte di un costo d’acquisizione di 3,899 miliardi. Il prezzo medio era dunque di 1,1518 euro per azione, superiore di oltre 1,31 miliardi alla valorizzazione della stessa partecipazione in base alle quotazioni correnti.

telecom ape (1)
 

Nel caso di Tim a incidere negativamente sono stati, oltre ad una maggiore volatilità del titolo dopo l’ingresso di Vivendi nel capitale, il calo delle quotazioni di tutto il comparto telecomunicazioni in Europa e una certa freddezza che il mercato ha percepito da parte di Vivendi nei confronti di Cattaneo, nominato 16 mesi or sono, soprattutto in materia di posa della banda larga nelle aree rurali (le cosiddette “aree a fallimento di mercato”), con conseguente scontro, sia pure solo verbale, con alcuni esponenti di governo.

Cattaneo, che nelle precedenti esperienze in Rai, Terna e Ntv si è cucito addosso la figura di un manager in grado di risollevare business e conti, ha ottenuto il consenso degli analisti, tagliato i costi e incrementato i ricavi, con risultati trimestrali via via più positivi. Ciò nonostante il titolo è sceso del 17% dal suo insediamento ad oggi e per questo secondo indiscrezioni subito smentite da tutti gli interessati (l'ultima però solo unilateralmente dal Ceo), Vivendi avrebbe iniziato a valutare una sua sostituzione (non come Ceo ma come direttore generale) con Amos Genish, attuale Chief convergence officer di Vivendi ma con un passato in GVT e Telefonica Brazil.

flavio cattaneo ape
 

Nel caso del 28,8% del capitale di Mediaset invece (cui corrispondono il 29,94% dei diritti di voto, “congelati” al 10%), sempre a fine marzo Vivendi valutava la partecipazione 1,32 miliardi (contro gli 1,259 miliardi di valore basato sul prezzo d’acquisto), sulla base di un prezzo di borsa di 3,88 euro per azione, del 17% abbondante superiore ai livelli attuali.

Il che significa un valore contabile di circa 1,088 miliardi, circa 171 milioni al di sotto del prezzo medio d’acquisto e di 230 milioni abbondanti inferiore ai valori di poco più di tre mesi fa. Insomma: che sia per un “timing” poco propizio, per l’andamento volatile dei mercati, per ostacoli politici o per una sottovalutazione della difficoltà dell’operazione, quella che doveva essere una vittoriosa “guerra lampo” si sta trasformando in una guerra di trincea per Bolloré, con perdite latenti che ormai sfiorano gli 1,5 miliardi, a fronte di 4,858 miliardi investiti nell’avventura italiana. Non proprio un risultato di cui un finanziere “d’assalto” come Bolloré può andare fiero.

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