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Economia
Mediobanca, Candy pronta all'uscita. I Fumagalli lasciano il salotto
Di Luca Spoldi
 
Ai più attenti tra analisti e investitori non è sfuggita pochi giorni fa l’accenno fatto da Jean-Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, circa il fatto che il rinnovo del patto di Mediobanca, in scadenza il prossimo settembre, non vada dato per scontato. “Gli azionisti di Mediobanca dovranno incontrarsi e discutere. Non anticiperò nessuna conclusione e quindi non commenterò oltre” ha tagliato corto il numero uno di Unicredit, principale azionista di Piazzetta Cuccia con una quota dell’8,56%. Una quota finora unita a un patto di sindacato cui fa capo in tutto il 31,05% del capitale e a cui partecipano tra gli altri il gruppo Bolloré con una quota dell’8% e il gruppo Mediolanum col 3,34%.
 
Quella di Mustier è stato interpretato come un pressing su Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, perché ripensi la propria strategia dopo aver corso il rischio di vedersi sfilare Generali (da sempre considerata un “protettorato” di Mediobanca, azionista di rilievo con un 13% della compagnia) da Intesa Sanpaolo, “colpo” che sarebbe stato un “bis” dell’acquisizione del controllo di Rcs Mediagroup da parte di Urbano Cairo, spalleggiato sempre da Intesa Sanpaolo. Di certo tra gli attuali “pattisti” e grandi famiglie italiane socie “storiche” del salotto buono della finanza milanese alcuni sembrano pronti a passare la mano, confidando in un ulteriore recupero delle quotazioni (a 8,9 euro attorno a cui oscilla attualmente Mediobanca sfiora il 40% di guadagno rispetto a 12 mesi or sono), come il gruppo Candy (famiglia Fumagalli), il cui amministratore, Beppe Fumagalli, ha confermato l’intenzione di cedere lo 0,8% di Piazzetta Cuccia “prima della fine dell’estate, se le condizioni di mercato saranno favorevoli”, visto che a distanza di oltre trent’anni dall’ingresso nel capitale, oggi la partecipazione non viene più ritenuta un asset strategico. Altri grandi soci di Mediobanca sono i Benetton (col 2,14%), Pirelli (ora controllata da China International Chemical Company, con l’1,81%), Fin.Priv. (holding nata nel 1988 per custodire “temporaneamente” un 2% del capitale nell’ambito del collocamento del 31% circa dell’istituto da parte di Comit, Credit e Banca di Roma, tuttora all’1,65%), i Pesenti (con l’1%), i Berlusconi (con lo 0,99%), i Gavio (con lo 0,67%) i Ferrero (con lo 0,66%), i Pecci (con lo 0,47%), gli Angelini (con lo 0,46%), i Lucchini (con lo 0,39%), il gruppo Zannoni (0,25%), Ennio Doris (0,21%), la Vittoria Assicurazione di Carlo Acutis (0,14%) e Romano Minozzi (0,11%). 
 
Per ora nessuno parla, ma è difficile pensare che i Ferrero, che nel 2010 erano ricorsi a Piazza Cuccia per cercare di finanziare l’acquisizione da 4,5 miliardi di euro di Cadbury, poi sfumata, e che dal 2011 non hanno più rappresentanti in Cda ritengano realmente “strategica” la propria partecipazione, o che possano considerare “incedibili” le proprie quote i Pecci, gli Angelini, gli Acutis o Romano Minozzi. Sennonché alcuni di costoro sono uniti a Mediobanca, letteralmente, a “doppio filo”, visto che sono tra i soci di Inveg, altro “salottino buono” promosso da Mediobanca per investire in Generali (di cui detiene l’1,35%, recentemente svalutato da 20 a 17,5 euro per azione). Partecipano a Inveg i gruppi Gavio, Ferrero, Lavazza, Zannoni, Minozzi, Brunori e Arvedi e ad Inveg Mediobanca ha rinnovato almeno fino a settembre un fido di 274 milioni, avendo inoltre avviato “conversazioni” per il rinnovo del finanziamento alla scadenza, ancorché a condizioni e termini da definire. Morale della favola: più che guardare ai soli risultati di bilancio, apparsi nei primi tre mesi dell’anno in ripresa e migliori delle attese, la sensazione è che si debba guardare a Trieste: finché Mediobanca (e indirettamente Unicredit) manterrà salda la presa su Generali anche i piccoli soci non dovrebbero affrettarsi all’uscita, se questo dovesse cambiare anche all’interno del capitale di Piazzetta Cuccia ci potrebbero essere ripercussioni a catena.
 
 
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