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Economia
Mps, il Tesoro studia aumento da 3 mld. Quel documento scottante sugli esuberi

Un aumento di capitale da tre miliardi di euro per il Montepaschi. Una cifra che se si rivelasse esatta indicherebbe che le valutazioni del Ceo Guido Bastianini sullo shortfall di capitale era sottostimate, aumento che potrebbe essere inferiore ai tre miliardi solo per effetto del beneficio fiscale dei 2,2 miliardi delle deferred tax asset (Dta) da trasformare in crediti di imposta nella fusione, dote messa a disposizione dall’ultima legge di bilancio.

Secondo quanto ha rivelato Bloomberg, il Tesoro starebbe valutando un rafforzamento patrimoniale fino a tre miliardi di euro che potrebbe prendere anche la forma di un aumento in opzione e cioè una raccolta di capitale  che consentirebbe agli altri azionisti del Monte (il 35,8%) che intendono sottoscrivere l'aumento pro-quota di non vedersi diluiti. Forma che preferita anche dall’azionista pubblico che ha in portafoglio il 64,2% del capitale di Rocca Salimbeni.

Lo scopo dell’operazione è quello di venire incontro ai desiderata di UniCredit che sta procedendo spedita con la due diligence e che sin da subito ha avanzato a Via XX Settembre la richiesta della neutralità dell’acquisizione senese per i propri ratio patrimoniali, oltre ai rischi legali (e altri rischi) e i crediti deteriorati da tenere fuori dal perimetro, crediti che, secondo quanto stimato dal management di Rocca Salimbeni, ammonterebbero attualmente a 4,2 miliardi di euro.

L'ammontare della ricapitalizzazione, ancora oggetto di discussione, precisa però l’agenzia dipenderà dall'esito della due diligence per cui formalmente la banca di Piazza Gae Aulenti si è data 40 giorni dal tre agosto (avvio ufficiale, fino dunque al 13 settembre), dagli asset che verranno trasferiti e dal concambio che verrà stabilito tra i titoli delle due banche. Concambio in una struttura finanziaria dell’operazione che potrebbe ricalcare dunque lo schema del matrimonio del 2017 fra le due grandi Popolari del Nord, Banco Popolare e Bpm in cui lo scambio carta contro carta fu preceduto da un rafforzamento patrimoniale ad hoc della banca veronese per allineare i ratio patrimoniali a quelli di Piazza Meda.

Nello scambio, la quota di capitale che andrebbe al Tesoro, ancora da quantificare e il cui ammontare dipenderà dal risultato finale della due diligence e dalla valutazione degli advisor che stanno seguendo la seconda banca italiana, sarebbe senza diritti di voto, per non alterare la governance di Piazza Gae Aulenti che vede preponderante la presenza di investitori istituzionali esteri, con un nocciolino di investitori italiani.

Le fonti citate da Bloomberg fanno sapere che non è stato sciolto il nodo del destino della direzione generale di Siena e del marchio Mps, un argomento da maneggiare con molta cura dal parte del Tesoro e dalla maggioranza politica che sostiene il governo Draghi, perché riguarda il destino di 2.100 dipendenti (su 2.582 bancari Mps complessivi presenti) impiegati nella provincia senese, centro di costo che UniCredit non vuole sobbarcarsi (assieme a qualche centinaia dei 1.407 bancari impiegati a Roma in altrettante funzioni di direzione generale) per evitare duplicazioni di struttura.

La corsa del segretario del Pd Enrico Letta per il seggio toscano lasciato libero in Parlamento dal passaggio di Pier Carlo Padoan alla presidenza di UniCredit e la portata politica del voto locale caricano di tensione l’appuntamento del tre ottobre. I 2.582 bancari (che equivalgono ad altrettante famiglie) moltiplicano come minimo per tre il numero dei voti legati al dossier del futuro della banca più antica del mondo e che si esprimeranno nella tornata da cui dipende il futuro politico di Letta.

Secondo un documento interno al Monte scambiato in due diligence con UniCredit e di cui Affaritaliani.it ha preso visione, dei 21.468 dipendenti totali di Mps, il grosso dei lavoratori del gruppo è impiegato in Toscana: 5.805 bancari, il 27%. Regione seguita dalla Lombardia, dove lavorano in 3.099 (il 14,4%) e dal Veneto, area che corrisponde all’ex AntonVeneta e che impiega in tutto 2.707 bancari (il 12,6%).

Delle tre macro aree: la maggior parte dei dipendenti è impiegnata al Centro (8.433, il 30,7%), seguito dal Nord (7.899, il 28,75%) e dal Sud (5.131, il 18,67%). Restano fuori i 5 dipendenti impiegati negli uffici di rappresentanza all’estero. Del Sud fanno parte gli sportelli dell’ex banca pugliese 121 e della Sicilia, area dove si creano forti sovrapposizioni con l’ex Banco di Sicilia finito ad UniCredit nell’operazione Capitalia del 2007 e che non interessano ad Orcel (finiranno nel perimetro del MedioCredito Centrale). E’ probabile che gli esuberi post merger (secondo le indiscrezioni si aggirano intorno alle 5.000-6000 unità) si concentrino dunque al Centro e al Nord. Un dossier per cui Orcel ha appena arruolato come responsabile People& Culture Italia l'ex capo delle risorse umane di Mps Ilaria Dalla Riva.

@andreadeugeni

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