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Economia
Nomine statali: luci ed ombre. L'analisi

Non sono poi andate così male le nomine dei vertici del settore pubblico al termine delle quali sono stati nominati validi  amministratori delegati(AD)  in aziende come ENEL ed ENI . C'è stata, è vero, la  sorpresa di trovare un bravo banchiere come Alessandro Profumo al vertice di una azienda tecnologica( Leonardo) e soprattutto la non riconferma di Francesco Caio alle Poste , pur in presenza di ottimi risultati . Ma e' abbastanza chiaro che alle Poste , dove lo stato e' ancora in maggioranza assoluta,le antiche logiche della politica hanno avuto una volta di più il sopravvento.
Sono passate invece inosservate  le nomine degli altri membri del consiglio di amministrazione (CDA). Probabilmente non interessano neanche a chi li ha proposti , dato che abbondano i professionisti e gli accademici , invece  che persone con esperienza aziendale , come avviene nei migliori CDA
Questa pratica di ricercare consiglieri che non abbiano nulla a che fare con la gestione, non riguarda solo le  aziende (ex ) pubbliche , ma  anche molte imprese private ed è emblematica della poca importanza dei CDA in Italia , i cui membri vengono infatti retribuiti meno che in altri  paesi . Eppure chi scrive, che da anni siede in CDA di aziende internazionali , sa quanto sia importante tutto il consiglio , avendo  vissuto in prima persona i benefici di consigli ben funzionanti e i danni fatti da quelli meno validi .
Qualche passo avanti anche da noi è stato fatto grazie a un  grande sforzo di compliance ( rispetto delle norme delle societa' quotate) soprattutto per  proteggere gli interessi degli azionisti di minoranza . I consiglieri  delle   "liste di minoranza" (proposti non dall'azionista di riferimento- , alcuni anche  in base alle "quote rosa"), hanno vegliato che non si ripetessero le porcherie e gli abusi  degli anni passati( scuderie dei parenti spesati dai bilanci aziendali , conflitti di interesse mostruosi ).
Ma non basta più.Si tratta di approvare acquisizioni da miliardi di euro , prepararsi alla sfida digitale, valorizzare al massimo il capitale umano. E queste scelte non sono state granchè nei Cda italiani ,se oggi abbiamo poche aziende Italiane tra le grandi globali , le banche italiane sono le meno profittevoli d'Europa e le nostre aziende sono terra di conquista da parte delle multinazionali (e  raramente avviene il contrario).
La differenza con le migliori pratiche estere è chiara. Da noi  l 'AD viene scelto assieme agli altri consiglieri in una "lista" preparata dall' azionista di riferimento , all'estero è tutto il consiglio che  lo sceglie. E poi lo aiuta, consiglia, valuta e ne pianifica la successione . Per farlo, ci vogliono però consiglieri che capiscano di business. Ma chi li sceglie? all'estero sono gli stessi CDA  ad avere molta voce in capitolo sulla propria composizione .  Per esempio, il comitato nomine cerca di capire se un candidato da riconfermare contribuisce attivamente alle riunioni( lasciando pero' il proprio ego fuori dalla porta) , dice quello che pensa , si documenta , lavora bene in team. Poi lo propone a tutto il CDA , con un processo attivamente orchestrato dal Presidente, che e' il vero leader del consiglio . Da noi il presidente e' spesso solo una figura di rappresentanza perchè  così lo vogliono  gli azionisti di riferimento -"inodore , incolore, insapore" è stato definito da un suo consigliere il Presidente di una grande società quotata.
Che si può  fare ? Poco nel caso di un azionista di riferimento che ha ancora la maggioranza della azienda . Se  vuole liberarsi di un AD capace perche' non piu' troppo devoto( o nominarne uno poco capace , ma a lui fedele), oppure fare una fusione  che c'entra poco con il business della propria azienda , solo per i propri interessi personali , i consiglieri della "lista" di solito stanno zitti e quelli "indipendenti " anche - le dimissioni nei  CDA italiani sono rari. Così ,agli azionisti resta solo la possibilità di non comprare le azioni.
Ma qualcosa si dovrebbe poter fare dove gli azionisti di riferimento ( fondazioni bancarie, imprenditori , Tesoro) non hanno piu' la maggioranza , come  accade in molte ex aziende pubbliche , banche , assicurazioni e qualche grande impresa industriale. Oggi   l'azionista di riferimento controlla il CDA grazie alla lista  di maggioranza ,perche',avendo la maggioranza relativa, nessun azionista riesce a contrastarlo nè in assemblea nè nel CDA. Ma all'estero il mercato non lo consente: un' azienda nel cui CDA siedo da anni , ha fatto acquisizioni che il mercato non ha apprezzato spingendo il  CDA a licenziare l 'AD, cambiare il Presidente e modificare la composizione stessa  del CDA.
Come si possono allora rafforzare i CDA italiani ?
Un primo passo potrebbe essere un' ipotesi di lavoro  di Assonime ( la associazione delle società quotate ) che suggerisce la "lista del CDA ", quando lo statuto lo consente. La  proposta di nomina dell'AD non sarebbe più da parte dell'azionista di riferimento,ma del CDA uscente . 
Chi scrive ritiene che questo potrebbe essere un ottimo punto di arrivo ,ma oggi troppi CDA sono pieni di consiglieri con il profilo sbagliato  o senza la giusta autorevolezza e indipendenza e comunque  si proteggono l'un l'altro essendo parte della stessa lista.
Per arrivarci sono necessari alcuni nuovi ingredienti. Innanzitutto passare ai cosiddetti staggered boards ( scadenziati). In uno dei miei CDA i consiglieri non scadono tutti assieme, ma tre alla volta. Questo , oltre  a responsabilizzare il  resto del board a  valutare bene i candidati in sostituzione, " romperebbe" la solidarieta' della lista grazie a nuove " voci fuori dal coro".
Sempre per "spezzare la lista" si potrebbe poi fare votare in assemblea  i singoli consiglieri . Ho  testimoniato personalmente  il  forte segnale che si riceve quando un consigliere viene approvato con il 98 per cento dei voti e un altro con il 60 .
La vera garanzia pero' e' che da noi si verifichi una vera "riscossa dei presidenti " che devono diventare  gli unici garanti nei confronti di tutti gli azionisti della eccellenza del CDA. Per questo bisogna  cambiarne radicalmente i  profili e cercare dei veri leader .
È' arrivato il momento di avviare un dibattito su come fare funzionare i CDA italiani. L'augurio e' che tale dibattito non sia solo affidato solo a insigni giuristi e rappresentanti dei poteri che resistono al cambiamento , ma anche a voci nuove che capiscono veramente cosa vuole dire governare  una azienda.

Roger Abravanel  meritocrazia.corriere.it

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