Npl, il business continua a tirare. Ma in banca si vara l'esubero preventivo
Il caso di doBank: il 13% dei lavoratori dichiarato eccedente
Oltre il 13% della forza lavoro da mandare a casa: 160 dipendenti (30 esuberi già usciti con incentivo) su 1.214 bancari complessivi in Italia. Il motivo? Gli affari non vanno male, anzi, ma potrebbero farlo in futuro. Per il momento, a giudicare dai bilanci degli ultimi tre anni di doBank (vedi tabella sotto) e dal piano industriale presentato dal Ceo Andrea Mangoni lo scorso anno nella City, è uno scenario molto lontano, poco immaginabile data anche l'assoluta posizione di leadership raggiunta nel ricco ed effervescente mercato europeo dei non performing loan. Ovvero quello della gestione dei crediti deteriorati delle banche, quelli cioè che difficilmente saranno rimborsati per intero dai debitori.
Dati societari
Sono andati su tutte le furie i sindacati del credito quando ieri sera, al tavolo con il management del primo operatore in Europa nei servizi di credit management e real estate per banche e investitori, con asset in gestione per oltre 140 miliardi e oltre 2.200 dipendenti (considerando l’intero perimetro societario fuori confine), si son sentiti motivare la richiesta di prepensionamenti obbligatori e licenziamenti collettivi nel nostro Paese con il futuro deteriorarsi dello scenario di un business in quello che, per il momento, è ancora l’Eldorado del mercato degli Npl nel Vecchio Continente. Meta delle mire dei più aggressivi fondi che fanno affari sulle sofferenze bancarie.
Andrea Mangoni
Insomma esuberi preventivi, senza serie ratio di ristrutturazione imminente. Una richiesta che se accolta introdurrebbe un principio pericoloso per la gestione dell’occupazione. E cioè quello del dichiarare eccedenze in vista di un lontano (e forse poco concreto) stop della florida espansione (doBank continua ad espandersi comprando oltre confine). Principio che ovviamente ha spinto le associazione di rappresentanza dei bancari, Fabi in testa, ad alzarsi dal tavolo e a far saltare le trattative sindacali che prima avevano per oggetto, seppur indigeste ma accettabili in vista della conservazione della stabilità dell'occupazione, solo la chiusura di filiali, trasferimenti e deroghe al contratto nazionale.
I numeri del gruppo nato dall’ex-Uccmb (UniCredit) con sede a Verona e controllato dal colosso giapponese Softbank (attraverso Fortress Investment) e che a luglio 2017 ha fatto capolino anche a Piazza Affari con la quotazione (+42,09% il titolo negli ultimi sei mesi), sono tutt’altro che da crisi e licenziamenti collettivi: 53 milioni di profitti nel 2018, in crescita del 17% e trainati da 233 milioni di ricavi (+9%), un trend ormai triennale (su ricavi, Ebitda, margini e utile) che ha permesso a doBank di distribuire agli azionisti nell'ultimo bilancio 30 milioni di dividendo. Monte cedole con un pay-ratio del 65% che secondo il piano industriale proseguirà di pari passo con i ricavi (crescita media attesa del fatturato fra l’8 e il 9%) fino al 2020.
Oggetto delle critiche dei sindacati dei bancari sono finiti Mangoni e tutto il Cda, i cui componenti secondo le sigle portsno a casa stipendi di almeno due milioni di euro. ”Nonostante 53 milioni di utile, il 30% di dividendi in più per i soci e un chief operating officer che con 4,9 milioni di euro è il secondo più pagato tra i manager bancari in Italia, doBank butta giù la maschera e denuncia 160 esuberi su 1.214 dipendenti, pretendendo con una arroganza mai registrata in altre aziende del settore di effettuare prepensionamenti obbligatori e licenziamenti collettivi”, recita la nota di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin.
L’azienda, però, in tarda serata ha ingranato immediatamente la retromarcia. E Mangoni ha scritto a tutti i dipendenti per tranquillizzarli. Nella missiva dice che il piano lacrime e sangue è “destituito di ogni fondamento e, soprattutto per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e le uscite obbligatorie, non riflette né la posizione aziendale, né la dinamica del confronto”. La notizia è stata accolta con soddisfazione dai sindacati.
“Siamo assolutamente d’accordo con il Ceo Mangoni e con quanto ha dichiarato ai lavoratori del gruppo doBank. Non vediamo più il motivo del contendere. Basterà, adesso, inserire tali garanzie, che fino ad ora non abbiamo riscontrato, all’interno dell’accordo proposto. I punti fondamentali sono stabilità lavorativa e occupazionale, prepensionamenti volontari, rispetto e mantenimento del contratto del credito. Ci aspettiamo che l’azienda, coerentemente, passi dalle parole ai fatti”, dicono ad Affaritaliani.it i rappresentanti di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin.
@andreadeugeni
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