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Economia
Obi: crescita bassa fino al 2025, il debito pubblico frena lo sviluppo

L’economia italiana è fuori dal tunnel, ma la crescita è ancora bassa. Se gli ultimi dati consentono di rivedere al rialzo le previsioni di crescita per il Paese, da +1 a +1,5%, le prospettive di medio e lungo termine rimangono sostanzialmente invariate. In media l’1,4% l’anno fino al 2025. Le cause? Ancora il debito pubblico e l’insufficiente struttura produttiva. Poi il deficit formativo ed istituzionale. Debolezze antiche che non sono ancora state rimosse. A questo risultato pervengono le stime e le previsioni sul valore aggiunto territoriale dell’Osservatorio Banche-Imprese di Economia e Finanza che saranno presentate oggi ad Agerola e che Affaritaliani è in grado di anticipare. Gli analisti dell’Obi rilevano che fino al 2025 non si ridurrà il divario economico tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, nonostante il miglioramento degli ultimi due anni. Se Nord e centro cresceranno ad una media dell’1,6% l’anno, a Sud del Lazio il Pil crescerà a tassi dell’1,2%, e l’occupazione solo dello 1,1% contro l’1,3% del resto dell’Italia. Per la prima volta da parecchi anni, però, sarà l’industria a trainare la crescita nel Mezzogiorno con segnali di ripresa che perverranno soprattutto dal turismo e dalla tecnologia, dall’agroalimentare e dalla cultura. I fattori che gli analisti dell’Osservatorio barese chiamano Tac 4.0. le regioni più dinamiche saranno Marche, Lazio ed Emilia Romagna, tutte con una crescita del Pil dell’1,5% l’anno, nel Sud Campania e Calabria cresceranno in media dell’1,3%, mentre Abruzzo e Basilicata appena l’1%. L’Obi identifica anche i territori con il maggiore sviluppo: il tirreno centrale, il Nord della Sardegna e il Basso Piemonte, l’area adriatica settentrionale, gran parte del Nord Est e la costa ionica. Non recupererà i ritmi di crescita pre-crisi buona parte del Nord Ovest, così come alcune zone dell’Abruzzo e della Campania e la costa occidentale della Sardegna. Tra le province che cresceranno di più l’Osservatorio barese cita Brescia, Monza-Brianza, Cuneo, Ravenna, Reggio Emilia, Trieste, Grosseto, Lucca e Palermo con incrementi del valore aggiunto reale superiore al 2% l’anno. All’estremo opposto della classifica, solo Pavia rischia di registrare una flessione stimata allo 0,2% l’anno, mentre Cremona, Mantova, Como, Rovigo e Belluno non cresceranno più di mezzo punto l’anno. L’Obi indica anche le premesse per un nuovo sviluppo del Paese che sono racchiuse in un mix di politiche di programmazione e di rigenerazione dell’industria di base e dei territori in grado di valorizzare le specificità nel quadro di un sistema economico nazionale ben equilibrato. Secondo Antonio Corvino, economista nonché direttore generale dell’Obi, le leve di accelerazione dello sviluppo devono essere ricercate su più sponde non essendo sufficiente la sola incentivazione sul piano degli investimenti e del costo del lavoro del tessuto produttivo. “Fondamentali risulteranno  le condizioni di competitività esterne alle imprese, a cominciare dalla logistica per continuare con la fiscalità di vantaggio, la burocrazia ed i servizi”. Altre leve dello sviluppo indicate nel rapporto sono il Piano nazionale per la logistica e il Piano Connettere l’Italia “per il passaggio dalle direttrici adriatiche e tirreniche alle dorsali interne”, sottolinea Corvino, e la costituzione delle Zone economiche speciali per “costituire un unico, grande sistema produttivo-logistico integrato nazionale indispensabile a garantire la competitività dell’intero sistema Italia di fronte alle sfide del 21° secolo”.

Eduardo Cagnazzi

 

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obi debito pubblicoosservatorio banche imprese





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