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Economia
Obi: Manifattura e servizi guideranno la crescita dell'Italia fino al 2023.

L’economia italiana è in crescita. Che, tuttavia, dovrebbe essere contenuta soprattutto se confrontata con la media dell’Unione Europea. In lieve ripresa anche il Mezzogiorno, ma il divario rispetto al resto dell’Italia dovrebbe leggermente ampliarsi. L’industria in senso stretto è ancora il settore che dovrebbe guidare la crescita. Ciò che manca sono gli investimenti nelle aree del Mezzogiorno, con particolare attenzione al manifatturiero ed ai servizi di cui le imprese necessitano e servizi logistici. Solo così è possibile superare l’isolamento di vaste aree. Infine, unire e non dividere, agire e non attendere, politiche a lungo termine e non politiche di breve periodo. Giungono a questa conclusione le previsioni e le stime dell’Osservatorio Banche Imprese (Obi) sul valore aggiunto per le province italiane e i comuni del Mezzogiorno 2019-2023 che sarà presentato oggi a Palermo nel corso delle giornate dell’Economia e che Affaritaliani è in grado di anticipare.

Secondo l’Obi, le previsioni per il periodo considerato evidenziano un rallentamento della crescita economica per l’Italia per l’anno in corso (+1,4%) e per i prossimi cinque anni, dal 2019 al 2023, che in media dovrebbero registrare una crescita annua dello 0,8%. Persistono, ed in alcuni casi si ampliano, le debolezza strutturali dell’economia del sistema Italia con particolare riferimento ai conti pubblici, deficit e debito pubblico. Più contenuta dovrebbe risultare la crescita del Mezzogiorno sia rispetto alla media nazionale che rispetto alle altre aree del Paese. L’Osservatorio stima, infatti, una crescita media annua dello 0,6% nel cinquennio di previsione 2019-2023 (+0,7% per il Nord Ovest, +0,8% per il Nord Est e +0,9% per il Centro Italia). Il divario del Mezzogiorno rispetto alle altre macro-aree del Paese, dopo la tenuta del triennio 2015-2017, è destinato ad allargarsi, ma in misura leggera, nei prossimi anni con l’economia del Mezzogiorno che non riuscirà a raggiungere il livello pre-crisi del 2008 rispetto alla dinamica delle altre macro-aree che l’hanno già raggiunto (Nord Est) o si apprestano a farlo nei prossimi tre anni (Nord Ovest e Centro Italia). A trainare la crescita dell’economia del Mezzogiorno dovrebbe essere il recupero del settore dell’industria in senso stretto e del settore delle costruzioni.

Le regioni e le province. Marche, Lazio ed Emilia Romagna trainano la crescita, Crotone e Matera i comuni più dinamici.                                                                                                                                                                             

Nel quinquennio 2019-2023, la crescita dovrebbe risultare sostanzialmente contenuta in tutte le regioni italiane, con una leggera prevalenza superiore alla media nazionale delle Marche (+0,96%), Lazio (+0,93%) ed Emilia Romagna (+0,89%), mentre più contenuta dovrebbe essere la crescita prevista per Basilicata (+0,46%), Abruzzo (+0,43%) e Valle d’Aosta (+0,26%). Veneto e Lombardia dovrebbero infine registrare una crescita leggermente inferiore alla media nazionale: rispettivamente pari allo 0,77% ed allo 0,73%. L’economia delle regioni Abruzzo, Basilicata, Puglia e Sicilia crescerà ad un ritmo più contenuto rispetto alla media del Mezzogiorno, mentre reagirà in misura leggermente più positiva (ma comunque con una crescita media annua al di sotto della soglia dell’1%) quella della Calabria, Campania, Molise e Sardegna che tuttavia risentono in misura maggiore degli effetti negativi della crisi dell’ultimo decennio. A livello provinciale, le province di Crotone e di Matera saranno quelle più dinamiche caratterizzate da una crescita media annua nel periodo 2019-2023 rispettivamente pari all’1% ed all’1,4%. Al contrario, numerose province del meridione saranno caratterizzate nello stesso periodo da una crescita decisamente contenuta o sostanzialmente assente. È il caso delle province al centro della Sardegna, a sud della Sicilia e che si affacciano sullo stretto di Messina, del Salento e di un folto nucleo costituito dalle province che circondano l’Appennino Meridionale andando dall’Adriatico al Tirreno. Sostanzialmente nulla la crescita economica media delle province di Agrigento, Benevento, Nuoro e Potenza nelle previsioni per il 2019-2023.

I capoluoghi di provincia

L’Obi rileva che la contenuta crescita economica a livello provinciale è diretta conseguenza della crescita asfittica dei comuni di più modeste dimensioni. La crescita dei capoluoghi delle diverse province del Mezzogiorno, rileva l’organismo pugliese, dovrebbe risultare nella quasi totalità dei casi superiore alla crescita media prevista per l’intera provincia di riferimento. Tale fenomeno è particolarmente significativo all’interno delle regioni Campania e Sicilia mentre si attenua all’interno delle regioni Basilicata, Calabria e Sardegna in cui la crescita dei comuni capoluogo di provincia dovrebbe sostanzialmente essere allineata al resto dei comuni appartenenti alle diverse province.Tra i comuni capoluoghi di provincia che nel quinquennio 2019-2023 dovrebbero evidenziare una crescita del valore aggiunto più elevata si segnalano i comuni di Avellino (+3,47%), Ragusa (+2,7%), Catania (+2,37%), Caserta (+2,05%) e Palermo (+2,02%) mentre negative risultano le previsioni per i comuni capoluoghi di provincia di Oristano (-0,11%), Benevento (-0,33%), Nuoro (-0,33%) e Trapani (-0,44%).

 

Le nuove frontiere della crescita 

Per l’economista salentino Antonio Corvino (nella foto), direttore generale dell’Obi, il persistente e crescente divario tra le regioni del Mezzogiorno e le altre aree del Paese evidenzia l’inefficacia delle politiche adottate fino ad oggi. “È vitale per il Mezzogiorno e per l’Italia ripensare e rielaborare le politiche di sviluppo per renderle più efficienti ed efficaci. In particolare andrebbe ripensato l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei. È bene rammentare che, a quasi trent’anni dall’avvio dei fondi strutturali, il Mezzogiorno mantiene un Pil pro-capite fermo al 50% nelle regioni di Sicilia, Campania, Puglia, Calabria che rappresentano i 3/4 del territorio e della popolazione meridionale. Si è attestato sul 75% in Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Molise”.

Cosa non ha funzionato? “Sicuramente il venir meno della straordinarietà dell’intervento europeo insieme al venir meno degli investimenti ordinari al Sud. La scarsa efficacia ed efficienza dell’azione regionale che ha disperso in mille rivoli le risorse europee hanno fatto il resto, insieme ad un’endemica refrattarietà del Mezzogiorno (nelle sue classi “abbienti”) ad investire. Altro aspetto da sottolineare -aggiunge Corvino- riguarda l’insufficiente flusso complessivo di risorse destinato storicamente al Mezzogiorno: l’equivalente di 350 miliardi di euro in 40 anni di intervento straordinario a fronte di 1.500 miliardi di euro destinati dalla Germania alla DDR (Germania dell’Est) in venti anni.”

E il presidente dell’Obi Salvatore Matarrese: “le nuove frontiere dello sviluppo devono partire dagli investimenti sia in infrastrutture materiali che immateriali in grado di garantire quei servizi minimi e necessari alle imprese del territorio; territorio per cui è necessario recuperare e valorizzare la biodiversità economica, imprenditoriale e culturale. Sono necessarie politiche lungimiranti e di lungo termine che vadano oltre gli interessi, troppo spesso confliggenti, delle singole aree ed il cui obiettivo esplicito sia lo sviluppo integrato dell’intero Mezzogiorno considerato come un tutt’uno e di cui i diversi territori costituiscono i tasselli di un unico puzzle per cui la diversità deve essere un valore aggiunto e non fonte di divisione. Le Zes costituirebbero sicuramente un volano per lo sviluppo del territorio in senso ampio. Sono necessarie operazioni mirate per il settore manifatturiero con l’obiettivo di agganciare la crescita in atto nel settore per renderla stabile e duratura nel corso degli anni. Fulcro della crescita dovrebbero essere le numerose eccellenze del settore manifatturiero presenti nel Mezzogiorno quali le eccellenze dell’industria agroalimentare, della meccatronica, dell’aerospazio e della TAC (tessile, abbigliamento e calzature) nella versione 4.0 con l’introduzione e la diffusione delle tecnologie e degli obiettivi della quarta rivoluzione industriale”.

 

 

 

 

 

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