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Economia
Obi, fino al 2023 non si restringerà la forbice tra il Mezzogiorno e il Nord

L’economia italiana deve tornare a crescere più di quanto emerge dai dati dell’ultimo anno e dalle previsioni più recenti. Che addirittura la indicano in possibile recessione. Sino oggi la crescita risulta molto contenuta, soprattutto se confrontata con la media dell’Unione europea. In questo contesto il divario del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese torna ad ampliarsi pericolosamente dopo il ridimensionamento del periodo 2015-2017. A livello territoriale la crescita dei comuni capoluoghi di provincia è limitata, l’occupazione ristagna. Le cause? I mancati investimenti nel manifatturiero, nei servizi e nella logistica. A queste conclusioni pervengono le stime dell’Osservatorio Banche Imprese di Economia e Finanza (Obi) sul valore aggiunto delle province meridionali per il quinquennio 2019-2023.

L’Italia e le macroaree                                                                                                                                                       Secondo l’Obi, in un quadro di debolezze strutturali dell’economia italiana, con particolare riferimento ai conti pubblici, sarà più contenuta la crescita del Mezzogiorno, sia rispetto alla media nazionale che rispetto alle altre aree del Paese. L’organismo barese al riguardo stima una crescita media annua dello 0,6% nel quinquennio di previsione 2019-2023: +0,7% per il Nord Ovest, +0,8% per il Nord Est e +0,9% per il Centro Italia. Anche l’occupazione nel Mezzogiorno dovrebbe evidenziare una crescita più contenuta (+0,6% medio annuo rispetto al +0,8% delle altre macroaree), dopo la diminuzione più ampia nel periodo di crisi (-1,8% medio annuo) in parte compensata dalla più ampia ripresa nel quinquennio 2014-2018 (+1,2% medio annuo). Nel quinquennio di previsioni, le altre macroaree del Paese dovrebbero superare i livelli di occupazione precedenti la crisi, mentre il Mezzogiorno li raggiungerà solo nel 2026 e il divario di quest’area del Paese rispetto alle altre macroaree tornerà ad allargarsi.                                                                                  Le proiezioni dell’Osservatorio per il quinquennio 2019- 2023 confermano dunque la dinamica degli anni passati con il peso del Mezzogiorno destinato a ridursi fino al 22,6% nel 2023. A trainare l’economia in quest’area del Paese nel prossimo quinquennio dovrebbe essere il recupero del settore dell’industria in senso stretto e del settore delle costruzioni, qualora vengano a realizzarsi gli importanti investimenti in infrastrutture di cui necessita da decenni. La dinamica dell’occupazione dovrebbe in sostanza seguire e replicare la dinamica del valore aggiunto. I settori più dinamici dovrebbero contribuire in misura più ampia all’incremento dell’occupazione nel periodo 2019-2023: l’occupazione nell’industria in senso stretto dovrebbe aumentare in media annualmente dell’1,2% mentre per le costruzioni dovrebbe aumentare dello 0,9%.

Le regioni e le province                                                                                                                                                            Nel quinquennio in esame, la crescita dovrebbe risultare sostanzialmente contenuta in tutte le regioni italiane con le Marche (+0,96%), Lazio (+0,93%) ed Emilia Romagna (+0,89%) in leggera crescita. Più contenuta dovrebbe essere la crescita prevista per le regioni Basilicata (+0,46%), Abruzzo (+0,43%) e Valle d’Aosta (+0,26%). Veneto e Lombardia dovrebbero infine registrare una crescita leggermente inferiore alla media nazionale: rispettivamente pari allo 0,77% ed allo 0,73%, mentre reagirà in misura leggermente più positiva quella delle regioni Calabria, Campania, Molise e Sardegna che risentono in misura maggiore degli effetti negativi della crisi dell’ultimo decennio. Leggermente più marcata della media dovrebbe essere la crescita dell’occupazione in Umbria (+0,9%) ed in alcune delle economicamente più importanti regioni italiane (l’Emilia Romagna, il Lazio, la Lombardia ed il Veneto) oltre a due regioni del Mezzogiorno quali la Basilicata e la Calabria. A livello provinciale, Crotone e Matera saranno le più dinamiche, caratterizzate da una crescita media annua nel periodo 2019-2023 rispettivamente pari all’1% ed all’1,4%. Al contrario, numerose province del Meridione saranno caratterizzate nello stesso periodo da una crescita decisamente contenuta o sostanzialmente nulla. È il caso delle province al centro della Sardegna, a sud della Sicilia, del Salento e di un folto nucleo costituito dai territori che circondano l’Appennino meridionale dall’Adriatico al Tirreno. Sostanzialmente nulla la crescita economica media delle province di Agrigento, Benevento, Nuoro e Potenza. L’occupazione in media dovrebbe aumentare a tassi medi annui contenuti con solo quindici province che nel quinquennio 2019-2023 dovrebbero essere caratterizzate da una crescita media annua appena superiore alla soglia dell’1%: la provincia di Vibo Valentia è l’unica nel Mezzogiorno a superare la suddetta soglia.

“Il divario tra l’economia del Nord e quella del Sud -dichiara Salvatore Matarrese, presidente dell’OBI- è destinato a crescere poiché, da sempre, le crisi impattano maggiormente sull’economia più debole del Paese, il Mezzogiorno, mentre le fasi di crescita premiano di più il Centro-Nord. In un contesto economico così sperequato, la realizzazione delle autonomie regionali rafforzate avrebbe un impatto devastante, disgregando il Paese e lasciando la parte più debole senza futuro. Piuttosto, visto che tutte le politiche adottate finora per ridurre il gap sono risultate inefficaci, si cambi logica e passo: il Sud va posto al centro degli obiettivi economici dell’Italia, attuando un programma coordinato ed integrato di investimenti con un’unica cabina di regia, che potrebbe essere l’Agenzia di Coesione. Alla luce degli ultimi pessimi dati sulla spesa delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione, meno del 5% a due anni dalla scadenza del programma, si conduca una ricognizione su tutti i finanziamenti stanziati e disponibili per le infrastrutture nel Mezzogiorno per sbloccarli e attuarli con leggi speciali, come già fatto al Nord per altre opere”.

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