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Economia
Ordini dall'estero oltre le attese. I big industriali italiani accelerano

Forse non tutti se ne sono accorti, distratti dal solleone estivo, ma dalle semestrali diffuse in questi giorni da alcuni tra i principali gruppi industriali italiani giunge una inattesa conferma: che l’Italia non è solo spiagge, città d’arte, ristoranti e alberghi. Ma anche, e forse ancora soprattutto, un paese con un apparato industriale solido e di eccellente qualità, in grado di ottenere commesse in tutto il mondo.

La riprova viene ad esempio da Prysmian: con l’annunciata vittoria di 4 dei 5 lotti del progetto Viking Link (la linea ad alto voltaggio destinata a collegare Gran Bretagna e Danimarca), il gruppo guidato da Valerio Battista non solo si aggiudica contratti per 700 milioni di euro, ben oltre le attese, che riportano il totale degli ordini per cavi sottomarini sui livelli del 2017, ma si lascia definitivamente alle spalle la difficile gestione del caso Western Link. Dimostrando, visto che in entrambi i progetti è coinvolta la britannica National Grid, che la reputazione di Prysmian e la sua capacità di vedersi assegnate grandi commesse sono intatte.

Nello specifico, il gruppo italiano poserà 1.250 km di cavi sottomarini e 135 km di cavi su terra ferma (sulla sponda britannica), cavi che saranno prodotti nello stabilimento di Arco Felice (NA) e consegnati entro il 2023, con le operazioni offshore per l’installazione dei cavi che verranno eseguite con la nuova nave posacavi di Prysmian (che già dispone di una flotta di 3 posacavi) annunciata lo scorso anno.

Un vascello all’avanguardia, in grado di istallare cavi in acque profonde oltre 2 mila metri, che sarà consegnato entro il giugno del prossimo anno e per il quale Prysmian ha sostenuto un investimento di 170 milioni. A costruire il vascello sarà Vard, cantiere norvegese controllato da un altro gruppo italiano, Fincantieri, che a sua volta ha dato un “lieto annuncio” ai mercati, ossia di aver chiuso il primo semestre con ricavi in crescita del 12,3% a 2.837 milioni, proprio grazie al continuo progresso delle attività di “shipbuilding” (+13,2% il fatturato a 2.410 milioni).

Attività che nei primi sei mesi dell’anno hanno mostrato anche un leggero incremento della marginalità, in parallelo ad un più generale continuo flusso di nuovi ordini, arrivati a 6,6 miliardi (per il 96% legati appunto allo shipbuilding) nella sola prima parte dell’anno, con un “book-to-bill ratio” pari a 2,3 volte. Numeri che hanno consentito al management di Fincantieri di confermare la guidance per il 2019 che parla di una crescita dei ricavi in linea con quella del 2018 e il mantenimento del Margine operativo lordo sui livelli dello scorso anno, in linea con stime e obiettivi del piano industriale 2018-2022.

Ultima ma non meno interessante conferma della capacità dell’apparato industriale italiano di fare affari con tutto il mondo: Saipem ha presentato oggi conti semestrali migliori delle attese, con vendite pari a 2,363 miliardi (il consensus si attendeva 2,164 miliardi), margine operativo lordo rettificato a 332 milioni (consensus: 293 milioni) e reddito operativo rettificato a 182 milioni (consensus: 143 milioni). Non solo: la società guidata da Stefano Cao ha chiuso il semestre con un debito netto pari a 1,574 miliardi (consensus: 1,626 miliardi) e ora lo vede calare a 800 milioni di euro entro fine anno (contro una precedente indicazione per 1 miliardo di euro).

A livello divisionale, come segnalano gli analisti di Equita Sim, sono apparsi “molto solidi i margini dell’offshore E&C, grazie alle buone performance operative”, mentre nel complesso i dati “confermano i miglioramenti sul fronte del deleverage e migliorano la visibilità per il 2019-2020, in un contesto di mercato che ancora non mostra evidenti segnali di ripresa”. Come dire che il gruppo guidato da Cao sta recuperando terreno nonostante lo scenario non sia ancora quello ideale; lo stesso Cao, poi, ha confermato in conferenza stampa che prosegue la ricerca di partner per l’attività di perforazione (“drilling”).

Stiamo analizzando “situazioni interessanti”, ha spiegato il manager, a fronte di un “numero molto limitato di opportunità di trovare partner per le attività di perforazione”. Confermate infine le attese per vendite a 9 miliardi di euro e margine operativo sopra il 10% sui ricavi a fine 2019, oltre che 500 milioni di investimenti nel corso dell’esercizio. L’Italia delle eccellenze industriali trova dunque ancora mercato all’estero, nonostante le tensioni commerciali, l’incertezza politica e qualche passo falso su singoli progetti. E il bello per alcuni potrebbe ancora dover arrivare.

Notavano stamane parlando di Prysmian gli analisti di Citigroup, come i black-out registratisi in queste settimane negli Usa abbiano riproposto drammaticamente il tema della necessità di tornare a investire infrastrutture in un paese che è rimasto indietro di 50 anni per quanto riguarda la rete elettrica “e può darsi che tra 10 anni sarà rimasto indietro di 60 anni” se non riprenderà al più presto a investire. Prysmian, dopo l’acquisto di General Cable, appare agli occhi degli uomini di Citigroup la “meglio posizionata per dominare il (ri)nascente mercato americano”.

L’Italia non ha dunque una sola strada obbligata (quella di trasformarsi in un grande complesso turistico per stranieri) per tornare a crescere, ma almeno due: affiancare all’attrattività delle attività di ristorazione e ospitalità sul territorio nazionale anche la capacità delle sue grandi industrie di ottenere ordini e commesse per miliardi di euro da tutto il mondo.

 

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