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Economia
Perché il fintech fa gola a tanti. L'Eldorado dei pagamenti digitali

Fintech sempre più caldo al di qua e al di là dell’Atlantico: se in Italia l’ultima spinta al settore è venuta su impulso del governo, teso a favorire in tutti i modi l’incremento dei pagamenti digitali, più facilmente tracciabili anche dal fisco, in America da qualche tempo sono i grandi colossi high-tech a mostrare interesse nei servizi finanziari.

Apple a inizio anno lanciato (in collaborazione con Goldman Sachs) una carta di credito per i proprietari di iPhone, Facebook, mentre continua a cercare di migliorare il giudizio, finora negativo, del Congresso riguardo la sua idea di lanciare l’anno prossimo una propria criptovaluta (Libra), ha annunciato il prossimo lancio di Facebook Pay, un sistema unificato di pagamenti utilizzabile anche su Instagram e Whatsapp, Google, che già ha sviluppato da tempo servizi analoghi (Google Pay e Google Wallett) si prepara ad offrire dal prossimo anno ai propri clienti conti correnti in collaborazione con Citigroup e Stanford Federal Credit Union, mentre Amazon starebbe a sua volta da tempo pensando se e come offrire (in questo caso insieme a Jp Morgan) servizi finanziari ai propri clienti.

Il ritornello che tutti i colossi intonano è sempre lo stesso: fornire nuovi servizi integrati alle proprie piattaforme per facilitare la vita degli utenti. Ma è fin troppo chiaro che poter mettere le mani sui dati finanziari dei propri clienti darebbe un’ulteriore marcia in più ai colossi tecnologici a stelle e strisce, che saprebbero a quel punto cosa vendere, a chi e quando, correndo rischi minimi e massimizzando i guadagni.

Qualcosa che alle banche tradizionali non è finora riuscito, visti i 170 miliardi di euro di crediti deteriorati scaricati dai bilanci delle banche commerciali italiane tramite cartolarizzazioni, in parte assistite da garanzie pubbliche (Gacs) e sui quali sembrano emergere i primi problemi, con segnali di una difficoltà superiore alle previsioni per quanto riguarda i tempi e la percentuale dei recuperi. Secondo uno studio di Banca Ifis, ad esempio, finora non si sarebbe andati oltre gli 11 miliardi, appena il 6,5% del valore nominale delle sofferenze cartolarizzate.

Mentre in America si prepara la battaglia finale tra banche e colossi tecnologici, in Italia “fintech” è ancora sinonimo di startup e fondi di venture capital di dimensioni e obiettivi decisamente più contenuti. Tra gli investitori che stanno seguendo con attenzione l’evolversi del settore vi è, ad esempio, l’ex direttore generale di Unicredit (al momento vicepresidente di Ubi Banca e senior advisor per l’Italia del fondo Cerberus), Roberto Nicastro, che questa estate ha fondato Pbi, un veicolo finanziario nel cui capitale Nicastro (37,6%) è stato affiancato da un ex collega di Unicredit, Federico Sforza (36,8%) e da altri quattro soci. Pbi si propone precisamente di “elaborare e sviluppare investimenti in progetti industriali innovativi finalizzati alla prestazione di servizi e prodotti finanziari attraverso le più avanzate tecnologie dell’informazione”, ossia il fintech.

Chi già sta investendo sul campo è poi Intesa Sanpaolo: sempre quest’estate la banca guidata da Carlo Messina ha siglato, attraverso la controllata Banca 5 (l’ex Banca Itb, rilevata da Intesa Sanpaolo nel 2016), una partnership con SisalPay (gruppo Sisal, rilevata sempre nel 2016 da Cvc Capital Partners per un miliardo di euro) per dare vita ad una Newco (70% Sisal, 30% Banca 5) a cui farà capo la prima rete italiana di “proximity bank”, che offrirà dal prossimo anno prodotti bancari, servizi di pagamento e transazionali in oltre 50mila esercizi in tutta Italia nei quali transitano quotidianamente circa 45 milioni di utenti.

Hanno invece puntato sull’ex startup britannica (è stata fondata nel “lontano” 2012) Sumup, molto attiva anche in Italia, pezzi da novanta del private equity mondiale come Bain Capital Credit, Goldman Sachs Private Capital, Hps Investment Partners e TpgSixth Street Partners, che a luglio hanno sottoscritto un round di finanziamento da 330 milioni destinato ad accelerare la crescita della società leader europeo dei servizi di pagamento digitali. Una crescita che potrà avvenire anche per vie esterne, come già visto con le acquisizioni di Debitoor (servizi di contabilità e fatturazione) e di Shoplo (e-commerce).

Che i pagamenti digitali facciano gola a tanti non stupisce: secondo i dati dell’Osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano, i pagamenti tramite carta di credito/debito effettuati dalle famiglie italiane sono saliti a 240 miliardi di euro l’anno (il 37% del totale), in crescita del 9% rispetto al 2017. Di questi 79 miliardi (il 56% in più dell’anno prima) sono già avvenuti via mobile o con carte contactless, i cosiddetti “new digital payment”, con quelli in prossimità (ossia effettuati presso i punti vendita) che hanno superato per la prima volta quelli da remoto (casa o ufficio). Visto l’andamento molto meno che esplosivo del settore creditizio nel suo complesso e la fame di commissioni, non è difficile immaginare che anche nel nostro paese la battaglia tra banche e aziende high-tech si infiammerà a breve.

 

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