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Economia
Perché una Labour Migration dignitosa dall’Africa conviene a tutti

Perché una Labour Migration dignitosa dall’Africa conviene a tutti

Il sistema economico italiano sta soffrendo una grave carenza di personale, più o meno qualificato, in numerosi settori. Solo per citarne alcuni: digital economy, agricoltura, costruzioni, meccanica, turismo e ristorazione, logistica (magazzinieri e autisti) e operatori sanitari. L’emergenza lavoro è il segnale di un fenomeno strutturale: l’Italia invecchia come pochi altri Paesi al mondo e ha pochi giovani, molti dei quali non sono disposti ad accettare le proposte di lavoro di cui le nostre imprese hanno assoluta necessità. 

Un piccolo caso, ma che getta luce su un fenomeno di enorme portata è quello di un'impresa italiana con cui siamo in contatto. Per vicende governative, le commesse che ha da tempo in un Paese dell’Africa sub-sahariana sono state bloccate e rischiano di esserlo per un tempo abbastanza ampio. Ciò nonostante, l’imprenditore dell’azienda non intende lasciare a casa i propri collaboratori, anzi, in attesa di una ripresa vorrebbe portarli in Italia a causa dell’urgente necessità di manodopera. Dopo mesi, con i provvedimenti dell’agosto 2023, uno spiraglio si sta aprendo. Ma perché deve essere così difficile, se non impossibile, un’operazione in cui trarrebbero vantaggio tutti? 

Non bisogna cadere nell’errore di pensare che i migranti costituiscono una minaccia per l’occupazione dei cittadini italiani. Infatti, l’Italia per non soccombere deve agire contemporaneamente su tre leve che non sono per nulla tra loro alternative, bensì complementari. Certamente ridurre il fenomeno dei NEET e accrescere l’occupazione femminile, con un impegno massiccio a livello di formazione professionale e un’intensificazione delle politiche per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. In secondo luogo, promuovere con energia la natalità, ma il risultato di queste politiche qualora abbiano il successo sperato, lo si vedrà solo tra più di vent’anni. Ecco allora la terza leva, senza della quale la sfida è persa in partenza: un’immigrazione consistente e controllata nei numeri, ma soprattutto dignitosa nelle modalità.

Nella primavera di quest’anno il Presidente del Kenya e il Cancelliere Tedesco hanno raggiunto un accordo per identificare decine di migliaia di opportunità di impiego in Germania per cittadini kenyoti “skilled and semi-skilled”. Non è che un esempio di quanto anche l’Italia è chiamata a fare: pianificare un’immigrazione concertata con le imprese, identificando con precisione le professionalità richieste e il percorso formativo necessario a preparare le persone che giungeranno nel nostro Paese. Si tratta di un piano da realizzarsi prevalentemente nei Paesi di origine e che potrà avere un supplemento al loro arrivo in Italia, tenendo conto tanto delle competenze professionali, quanto della conoscenza della lingua e del contesto sociale e culturale italiano.

Pertanto, occorre ampliare i numeri del Decreto Flussi e realizzare un grande progetto nazionale per l’immigrazione dignitosa che potrebbe tramutarsi in un’iniziativa win-win, di cui cioè beneficiano una molteplicità di soggetti: i migranti, che hanno la possibilità di trovare lavoro e condizioni di vita dignitose per loro e, in prospettiva, per le loro famiglie; le imprese italiane, che potranno trovare personale idoneo a ricoprire le numerose posizioni mancanti; lo Stato italiano, che ha l’opportunità di immettere forze giovani, anche in grado di contribuire al sistema pensionistico; gli Stati africani, impossibilitati a trovare un’occupazione per i milioni di giovani che ogni anno  si affacciano al mondo del lavoro; le famiglie degli emigrati, che potranno avvalersi delle rimesse, ormai una voce di prima grandezza nelle economie africane.

La consapevolezza dei potenziali molteplici benefici non deve, però, portare a nascondere o a sottovalutare l’entità delle sfide insite nel progetto: il lavoro deve essere dignitoso e stabile; la rimunerazione sufficiente a garantire una vita dignitosa; vanno affrontati con grande attenzione il problema abitativo e quello dell’integrazione culturale; l’inclusione implica un tessuto sociale ricettivo e creativo, in cui il terzo settore deve giocare una parte importante; la sicurezza deve essere garantita, tanto a chi arriva quanto a chi accoglie.

Da qui, la necessità che il Piano Mattei possa costituire un’occasione di coagulo dei tanti soggetti il cui contributo è indispensabile per dar vita a una Labour migration dignitosa, capace di coniugare giustizia sociale e sviluppo economico tra cui i Ministeri italiani coinvolti (Esteri, Interni, Lavoro, Imprese e Made in Italy), le imprese e le loro associazioni, gli enti della formazione professionale operanti in Italia e in Africa. In questo senso la Fondazione E4Impact, ormai presente in 20 Paesi africani anche con sedi e personale proprio, che fin dalla sua origine si è posta a servizio delle imprese italiane come ponte sull’Africa, è pronta a fornire un suo importante contributo.

* CEO di E4Impact Foundation

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