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Economia
Petrolio, accordino fra Russia a Arabia al G20: faremo crescere il prezzo

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Arabia Saudita e Russia, i due principali produttori di petrolio al mondo, sono sempre più tentati di stabilizzare il mercato del greggio, per non dire di favorire un rimbalzo dai minimi visti in questi ultimi 12 mesi: questo lascia intendere il nuovo accordo annunciato a margine del G-20 di Hangzhou dai ministri del petrolio di Russia e Arabia Saudita (Alexander Novak e Khalid al-Falih) a supporto della “stabilità del mercato del petrolio”, il cui scopo ufficiale è di assicurare “un livello di investimento stabile a lungo termine”. L’accordo, come hanno subito notato analisti e investitori, per ora non prevede alcuna misura concreta, tanto meno si applicherà all’Iran, che continua a recuperare posizioni dopo la fine delle sanzioni economiche occidentali e che ha interessi geopolitici diametralmente opposti a quelli di Riad, ma tant’è.

Sul mercato la sensazione è che i 30 dollari al barile siano ormai un livello destinato a non rivedersi in un prossimo futuro, tanto meno i 20 dollari a barile messi in preventivo a fine 2015 da Jeffrey Currie, responsabile dalla ricerca sulle materie prime di Goldman Sachs. Così sul Cme di Chicago al momento i future sul petrolio di tipo West Texas Intermediate oscillano tra i 45 dollari al barile che si pagano per acquistare un contratto per consegna ottobre e i 50,25 dollari per un contratto con consegna luglio 2017.

A dire la verità la volontà più evidente di trovare un accordo resta quella russa, dopo che già la scorsa settimana il presidente Vladimir Putin aveva auspicato che l’Opec stesso potesse raggiungere una intesa con Mosca, auspicio che ha fatto scattare voci di una possibile partecipazione della Russia alla prossima organizzazione del cartello che riunisce al momento 14 dei maggiori produttori petroliferi mondiali.

Della notizia hanno subito saputo approfittare sul listino di Milano i titoli Saipem (+1,36% a 41,7 centesimi per azione a fine giornata, dopo un massimo a 42,3 centesimi in mattinata), Eni (+0,8% a 13,83 euro, ma in giornata il titolo aveva sfiorato anche i 14 euro) e Tenaris (+0,81% a 12,43 euro, in questo caso dopo un massimo di 12,55 euro). Il fatto che nel corso del pomeriggio siano scattate prese di profitto non è ritenuto eccessivamente significativo dai trader, che sottolineano come oggi manchino ordini in arrivo da Wall Street, chiusa per la festività del Labour Day.

Mosca e Riad hanno anche fatto sapere di avere già programmato ulteriori incontri a settembre (in occasione del Forum internazionale dell’energia ad Algeri), ottobre (quando si riunirà un gruppo di lavoro bilaterale su gas e petrolio) e novembre (in occasione del summit dei ministri del petrolio dell’Opec a Vienna) e proprio in questi ulteriori incontri potrebbe venire definito un congelamento della produzione dei due paesi di cui per la verità si discute ormai da inizio anno senza che nulla sia accaduto. Anzi l’Arabia Saudita, che a febbraio era scesa appena sotto i 10 milioni di barili di petrolio prodotti nel mese, si è nel frattempo portata sopra quota 10,35 milioni, sui massimi di ogni tempo.

(Segue...)

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